Francesco Selmi nacque il 7 aprile 1817 a Vignola (in quel periodo, piccolo centro facente parte del Ducato austroestense di Modena). Chimico, inventore, divulgatore culturale e scientifico, patriota, alto funzionario pubblico, biografo, narratore, studioso di Dante e dei primi secoli della lingua italiana, nonché profondo conoscitore tanto della storia del paese natale quanto delle figure dei suoi figli più illustri, egli va annoverato tra i Vignolesi più celebri della storia.
Selmi era il primogenito di Spirito Canuto Teopompo e Domenica Cervi; dopo di lui, vennero al mondo Aureliano (che poi maturò sentimenti liberali e fu un alto magistrato del Regno d’Italia), Antonio (futuro patriota e chimico di valore, s’impegnò anche nella riorganizzazione del sistema scolastico e universitario subito dopo l’Unità, e nel 1883 curò la pubblicazione di Lettere inedite di Lod. Ant. Muratori), Anna e Luigia. Il padre, che professava idee liberali e dimostrava scarsa attitudine a trattare gli affari, aveva da poco dovuto vendere il suo podere per il succedersi di anni di grave carestia e per la bancarotta della sua impresa di costruzione delle mura del nuovo cimitero comunale di Vignola. Anche quando egli riuscì a trovare impiego presso il Tribunale del suo paese, le condizioni economiche dei Selmi permasero assai precarie; a ciò non era estranea una rischiosa abitudine del capofamiglia: quella di offrire le proprie garanzie allo scopo di ottenere denaro da prestare ai patrioti, molti dei quali non glielo restituirono. Spirito era legato da profonda amicizia a un funzionario del Comune di Vignola, l’agiato Francesco Pradelli, di convinzioni liberali; questi si accorse subito delle doti del piccolo Francesco e ne diventò il mecenate degli studi.
Il primo vero maestro del nostro personaggio fu lo zio Angelo Cervi juniore, arciprete di Vignola per oltre un terzo di secolo. Nel febbraio 1831 l’insurrezione ordita da Ciro Menotti e altri a Modena abortì, ma ebbe importanti – anche se brevi – conseguenze a Vignola; da lì a poco, il padre e il mecenate dell’adolescente Selmi vengono processati e incarcerati per aver favorito la fuga di alcuni patrioti dal Ducato. Il ragazzo proseguì gli studi nella capitale austroestense, presso le scuole dei Gesuiti. S’iscrisse all’Università di Modena, che frequentò mentre lavorava come garzone di farmacia perché costretto a farsi carico di tutta la famiglia (il padre, che morì nel 1840, nell’ultimo lustro della propria esistenza sparì di fatto dalla vita dei suoi); studiando la notte e riducendosi a non mangiare quasi nulla per riuscire ad acquistare i libri, nel 1839, sotto la guida del chimico spilambertese Alessandro Savani, conseguì il diploma di maestro in Farmacia. Lo stesso anno uscì una pubblicazione collettiva da lui curata, l’Iconografia dei celebri vignolesi, opera con la quale egli offrì un significativo e precoce omaggio ai figli più autorevoli e famosi della sua terra. Tra il 1839 e il 1842, ricoprì la carica di direttore del Laboratorio Chimico-Farmaceutico della Società Farmaceutica di Modena. Il 18 ottobre 1842 il giovane scienziato, per le cattive condizioni di salute del titolare, Carlo Merosi, diventò sostituto alla cattedra di Chimica Farmaceutica nel Liceo di Reggio, seconda città del Ducato, con gli attributi di professore dell’Università di Modena; morto Merosi, dal 2 novembre 1844 fu professore effettivo di Chimica Farmaceutica, incarico che mantenne fino al 1848.
Negli anni Quaranta, a dispetto della scarsità di finanziamenti e strumentazioni tecniche, Selmi svolse importanti ricerche che posero le basi della chimica dei colloidi; inoltre, si dedicò alla chimica biologica, studiando in particolare le proprietà del latte e la coagulazione del sangue. Partecipò più volte alle Riunioni degli Scienziati italiani (nel Congresso di Padova del 1842, venne creata una speciale sottosezione per la Chimica e la carica di segretario fu affidata al Vignolese). Con frequenza, iniziarono a comparire sue pubblicazioni negli «Annali di fisica, chimica e matematiche» di Gianalessandro Maiocchi.
Nel 1845 Selmi sposò la cremonese Maria (soprannominata Marietta) Roncagli, dalla quale ebbe sette od otto figli, di cui solo quattro gli sopravvissero. La moglie fu una figura rilevantissima per l’esistenza e la carriera professionale del Vignolese, rappresentando per lui un insostituibile e decisivo appoggio che mai gli venne meno per gli oltre sette lustri di vita coniugale.
L’intensa attività scientifica non distolse Selmi dalla partecipazione alla vita politica. A Reggio egli appoggiò l’insurrezione scoppiata nel marzo 1848. Fuggito il duca Francesco V e instauratisi governi provvisori a Modena e a Reggio (21 marzo), il Vignolese partecipò a pubbliche assemblee, figurò come uno dei principali animatori del Circolo Politico locale e contribuì a fondare il «Giornale di Reggio», di tendenza liberale e patriottica (nel giro di poche settimane, l’orientamento filosabaudo venne a prevalere); in questo quotidiano, del quale diventò presto direttore de facto, egli fece uscire numerosi articoli improntati a una certa moderazione. Il 29 maggio i governi provvisori decretarono l’unione di Modena, Reggio, Guastalla e Frignano al Regno di Sardegna; il Parlamento subalpino ratificò la fusione il 21 giugno. A seguito della vittoria riportata dagli Austriaci sui Piemontesi nella battaglia di Custoza (24-25 luglio) della Prima Guerra d’Indipendenza, Selmi lasciò in tutta fretta Reggio la notte del 25 luglio; insieme con altri patrioti, decise di cercar rifugio a Torino, capitale del Regno di Sardegna. Da lì, rifiutò l’amnistia concessa agli insorti da Francesco V, rientrato a Modena il 10 agosto (il giorno dopo l’armistizio di Salasco) grazie alle armi imperiali, e venne pertanto da lui condannato per lesa maestà (14 febbraio 1849).
A Torino, Selmi non accettò la pensione che il governo sabaudo concedeva agli esuli volontari presenti nei propri domìni e chiese di poter lavorare: fu così nominato professore di Fisica, Chimica e Meccanica al Collegio Nazionale di Torino (9 novembre 1848). Dalla fine del 1848 all’inizio del 1859, operò nel laboratorio torinese di Ascanio Sobrero, con il quale ottenne risultati scientifici di considerevole rilevanza, come la scoperta del tetracloruro di piombo (PbCl4). Nel 1850 vinse un concorso, bandito dall’Accademia delle Scienze di Torino, per la migliore opera dedicata all’introduzione allo studio di una disciplina; la sua Introduzione allo studio della chimica, tuttora manoscritta, è conservata presso l’archivio dell’Accademia. Tra il 1853 e il 1855, a due riprese, fu per molti mesi in Sardegna, dove svolse – su incarico del governo sabaudo – ricerche intorno alle proprietà fertilizzanti del guano. Nel settembre 1854, sempre a Torino, venne nominato professore di Chimica all’Istituto di Commercio e d’Industria; presso tale istituto, inaugurato un anno e mezzo prima e diretto dal deputato Ferdinando Rosellini, uno dei colleghi più illustri di Selmi era Niccolò Tommaseo, che vi insegnava Princìpi Morali. Nel 1856 il Vignolese inventò la pila a triplice contatto, che venne subito applicata con profitto alle trasmissioni telegrafiche e ai processi di argentatura e doratura, di galvanoplastica e di estrazione del rame. In questo torno di tempo, fu impegnato pure nella traduzione di opere scientifiche straniere, nella collaborazione a riviste di chimica (nonché nella fondazione di alcune di esse) e nella stesura di manuali aventi il fine di render note a un pubblico relativamente vasto le scoperte e le innovazioni appena maturate nei diversi Stati europei all’interno dei suoi settori di studio.
All’attività scientifica Selmi affiancò sia l’impegno culturale e divulgativo a largo raggio sia l’impegno politico. A proposito del primo, egli partecipò a due colossali e benemerite iniziative varate, nella capitale subalpina, dalla casa editrice Pomba (che, poi, si trasformò in Società l’Unione Tipografico-Editrice e che, infine, prese il nome di Unione Tipografico-Editrice Torinese, ossia UTET): la stesura del Dizionario della lingua italiana nuovamente compilato dai signori Niccolò Tommaseo e cav. professore Bernardo Bellini (il cui primo volume apparve nel 1861) e la preparazione della Nuova Enciclopedia Popolare Italiana, diretta dapprima da Francesco Predari e in seguito da un fraterno amico del Vignolese, Francesco Di Mauro di Polvica, il quale diresse anche il Supplemento perenne alla Nuova Enciclopedia Popolare Italiana (Selmi collaborò pure ad esso).
Per quanto riguarda l’impegno politico, l’abitazione del celebre chimico nella capitale piemontese diventò presto punto d’incontro di esuli provenienti da tutta Italia. Già cittadino sabaudo dal 1849, egli entrò a far parte della Società Nazionale (1857) e, stretta amicizia con Camillo Benso, conte di Cavour, ebbe l’incarico di mantenere i rapporti con i patrioti rimasti nel Ducato austroestense. Inoltre, Selmi figurò tra i più attivi collaboratori de «Il Piccolo Corriere d’Italia», rivista settimanale che, fondata nel 1856 a Torino dal suo carissimo amico Giuseppe La Farina e divenuta l’organo della Società Nazionale, patrocinava l’unificazione italiana sotto Casa Savoia ed era per questo destinata anche a essere diffusa clandestinamente fuori dei confini del Regno di Sardegna. Infine, egli fu incaricato di svolgere varie missioni politiche e, nella primavera del 1859, di promuovere l’insurrezione nel Ducato di Modena.
Durante questa sua prima permanenza continuativa nel Regno di Sardegna, il Vignolese cominciò a frequentare uno dei più importanti salotti di Torino, quello di Olimpia Rossi Savio, la quale non tardò a diventare intima amica dei coniugi Selmi.
Nel mondo intellettuale e politico sabaudo, il sempre più celebre scienziato era da tutti assai stimato per il suo animo retto e risoluto, per la sua affidabilità, per le sue maniere cortesi, per i risultati dei suoi studi e per il suo patriottismo.
L’11 giugno 1859 gli sviluppi della Seconda Guerra d’Indipendenza, in particolare a seguito degli esiti della battaglia di Magenta (combattuta sette giorni prima), indussero Francesco V a fuggire da Modena. Cinque giorni dopo, lo scienziato vignolese arrivò in città come delegato della Società Nazionale e, al fine di concorrere a stabilizzare la situazione politica, non fece mancare il suo attivo sostegno a Luigi Zini, che aveva nel frattempo assunto il governo della città in qualità commissario straordinario. Venne subito nominato rettore dell’Università di Modena e ispettore generale delle Scuole Secondarie (da questa seconda carica, però, decadde pochi giorni più tardi). Cominciò a collaborare strettamente con Luigi Carlo Farini, governatore delle Provincie Modenesi – poi, dittatore delle stesse e dell’Emilia – per conto del re di Sardegna. Da presidente del Comitato elettorale, organizzò le votazioni dell’Assemblea Nazionale delle Provincie Modenesi, della quale il 14 agosto diventò membro in qualità di deputato del Collegio di Vignola. Una settimana dopo, il giorno 21, l’Assemblea approvò all’unanimità l’annessione al Regno di Sardegna, e Selmi fece parte della delegazione che si recò a Torino per presentare al re Vittorio Emanuele II il risultato del plebiscito delle Provincie Emiliane. Fino a dicembre, insegnò Chimica Agraria presso l’Istituto Agrario di Modena. Il 10 dicembre fu nominato segretario generale del Ministero della Pubblica Istruzione (cessando, così, dalla funzione di rettore) e quindi capo della IV Divisione, la quale risiedette per alcuni mesi provvisoriamente in Modena per gli affari scolastici dell’Emilia; tale Divisione venne poi destinata a Torino, dove il Vignolese si trasferì nel maggio 1860. In questi mesi, figurò tra i promotori della fondazione delle tre Regie Deputazioni di Storia Patria per l’Emilia (quella per le Provincie Modenesi, quella per le Provincie Parmensi e quella per le Provincie di Romagna), e della Regia Commissione per i Testi di Lingua (istituzione della quale fu a lungo uno dei membri più attivi).
Tra il 1861 e il 1867, Selmi ricoprì diversi incarichi all’interno del Ministero della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia: nel 1861 ebbe il ruolo di capo della III Divisione del Ministero a Torino, e poi diventò direttore capo di Divisione di I Classe; per nove mesi, dal marzo 1862, fu capo di Gabinetto del Ministero; nell’agosto 1862 entrò in servizio come provveditore agli Studi della Provincia di Torino, e in tale veste svolse per quattro anni e mezzo una proficua opera di ordinatore del sistema scolastico e universitario all’indomani dell’Unità.
Grande, allo stesso tempo, risultò l’impegno del Vignolese anche su altri fronti. All’inizio degli anni Sessanta, per esempio, egli pubblicò nella «Rivista contemporanea», importante mensile torinese di cultura e varia umanità, alcuni scritti di forte tensione etico-civile, testi ove era anche possibile ammirare sia la qualità della lingua e della prosa dell’autore sia la sua vasta e profonda cultura storica e letteraria, tratti – questi – che lo differenziavano da quasi tutti i colleghi scienziati dell’epoca.
Inoltre, nel corso del suo intero secondo soggiorno torinese, Selmi si dedicò con passione agli studi su Dante Alighieri: esaminò un numero considerevole di codici italiani e stranieri della Commedia, trascrivendone le varianti; sceneggiò un dramma lasciato imperfetto, avente come personaggi principali Dante e Beatrice; scrisse importanti saggi interpretativi; raccolse parecchio materiale al fine di comporne una biografia, progetto che tuttavia non giunse a realizzarsi; pronunciò almeno una conferenza dantesca; fu a un passo dal veder approvato un decreto, da lui promosso e la cui minuta risultava di suo pugno, che stabiliva l’istituzione, in ciascuna delle tre Università emiliane (ossia Bologna, Modena e Parma), di una cattedra di commento a Dante (1860); scoprì in un codice due componimenti poetici che attribuì al grande Fiorentino e che giudicò rimasti fino ad allora inediti, e li pubblicò (1864); stampò per la prima volta chiose anonime all’Inferno tramandatesi manoscritte, opera di un contemporaneo del Sommo Poeta (1865); caldeggiò la proposta di realizzare un’Edizione Nazionale della Commedia (1860); lui stesso, insieme con il linguista Bruto Fabricatore e coadiuvato da un gruppo di filologi, s’incaricò di approntare un’edizione delle tre cantiche che riportasse tutte le più significative varianti rinvenute negli antichi codici italiani e stranieri dell’opera (1863/1864-1867), anche se – a un certo punto – l’impresa si arrestò; partecipò alle celebrazioni per il sesto centenario della nascita di Dante (1865).
Non solo. In quel periodo, Selmi s’impegnò con acribia nella ricerca filologicamente erudita delle radici della lingua nazionale. Nell’ambito di tali indagini, fra l’altro, egli identificò due nuovi codici del De imitatione Christi in volgare (1860), intervenendo anche nella polemica tra gli studiosi sull’attribuzione di quest’opera; curò nel 1863 la pubblicazione del Gibello, un interessante cantare trecentesco rimasto fino ad allora inedito; scoprì il preziosissimo manoscritto che contiene il Dei Trattati Morali di Albertano da Brescia, nel volgarizzamento dal latino compiuto da Andrea da Grosseto nel 1268, e lo mandò alle stampe nel 1873: si tratta del più antico documento di prosa letteraria in lingua volgare di una certa mole e rilevanza.
Sempre nei primi anni Sessanta, Selmi si cimentò nella letteratura biografica (genere nel quale, all’epoca, non era del tutto privo di esperienza), pubblicando diverse vite: quelle dei fratelli Emilio e Alfredo Savio (1862), eroi del Risorgimento (figli di Olimpia Rossi Savio, ricordata poco sopra), in testa a un volumetto che presenta versi di vari autori per commemorare i due Caduti; quella del grande scienziato Carlo Matteucci (1862); quella di La Farina (1864), importante patriota e politico già menzionato. La passione letteraria del Vignolese non si esaurisce qui: il suo risulta un vero e proprio amore per la scrittura che risale all’adolescenza, al punto che egli, spesso lasciandoli adespoti oppure usando pseudonimi, stende nel corso della vita molti racconti, romanzi e favole, la maggior parte dei quali tuttora inediti, che in alcuni casi offrono uno spaccato assai interessante sulla temperie sociale e politica che caratterizzò i decenni centrali dell’Ottocento. Per la precisione, del nostro personaggio risultano stampate le raccolte di testi narrativi I primi racconti scritti da un Maestruccio di Scuola (1847), usciti in seconda edizione corretta e accresciuta sotto il titolo di Racconti morali scritti da un Maestruccio di Scuola per lettura dei giovanetti italiani (1853); e Il Favoleggiatore (1857), raccolta di favole – parecchie delle quali completamente originali – firmata «M. di S.» Inoltre, l’insigne personaggio fece uscire il romanzo Battista Cannatelli (1866) dietro il nome fittizio di «Italo De’ Vecchi».
Al principio del 1867, Selmi venne nominato professore ordinario di Chimica Farmaceutica e Tossicologica presso l’Università di Bologna. Durante gli ultimi quattordici anni di vita, egli si dedicò a importantissimi studi scientifici, tra i quali spiccarono soprattutto quelli portati avanti nel settore della chimica tossicologica, ricerche innovative e proficue che lo condussero a diventare uno dei fondatori della tossicologia forense a livello internazionale: data infatti a questo periodo la sua scoperta delle «ptomaìne» (1872), sostanze che si formano nel processo putrefattivo dei cadaveri e che, a quel tempo, erano confuse con gli alcaloidi venefici. In seguito a suddetto traguardo, vennero richieste al Vignolese perizie in diversi processi per avvelenamento; inoltre, egli fu eletto nel 1880 presidente della Commissione per lo Studio della Prova Generica del venefizio, organo appena istituito dietro suo suggerimento dal Ministero di Grazia e Giustizia italiano. Nel frattempo, compì anche una serie di altri studi e sperimentazioni di grande interesse e forieri di notevoli sviluppi: per rimanere al campo della chimica tossicologica, vanno almeno ricordate le sue indagini concernenti le ammine patologiche particolari («patoammine») prodotte nel corso delle malattie infettive.
Nell’ultimo periodo della vita, oltre a dedicarsi a tali impegnative ricerche, il nostro personaggio fu alle prese con la curatela – e la redazione di una parte non trascurabile – dell’Enciclopedia di chimica scientifica e industriale, un’opera che si proponeva l’ambizioso obiettivo di raccogliere tutte le nozioni della chimica e le applicazioni di quest’ultima nei vari campi del sapere, e che venne impressa in 11 volumi tra il 1868 e il 1878 dall’Unione Tipografico-Editrice Torinese, per un totale di oltre 10.000 pagine, all’interno delle quali il testo delle voci risulta accompagnato da circa 2300 figure; tra il 1879 e il 1881, a cura dell’allievo Icilio Guareschi ma sotto la supervisione di Selmi, presso il medesimo editore uscirono 3 volumi di Complemento e Supplemento, alla cui comparsa succedette dal 1884/1885 la stampa, a cura dello stesso Guareschi e sempre per i tipi della UTET, di materiali che fungevano da aggiornamento e integrazione dell’opera («Supplemento annuale alla Enciclopedia di chimica scientifica e industriale»; questa pubblicazione periodica cessò nel 1918 con la morte di Guareschi, ma si provò a darle un seguito con l’«Annuario di chimica scientifica e industriale», del quale videro la luce solo due numeri, rispettivamente nel 1919/1920 e nel 1921, ancora una volta dalla UTET). La notevole completezza di quest’Enciclopedia e la sua più che lusinghiera accoglienza internazionale possono essere interpretate come il degno epilogo dell’esistenza del Vignolese, che fin da ragazzo in diversi ambiti si era prodigato, con spirito di sacrificio e indefessa abnegazione, per il bene, l’onore, la libertà, l’unità politica e l’istruzione del popolo italiano.
Selmi morì di setticemia nel paese natale il 13 agosto 1881, in seguito a uno sfortunato incidente avvenuto nel piccolo laboratorio che egli aveva allestito all’interno della stanza da letto del suo villino nel quale era solito passare il periodo estivo. Due giorni dopo, il defunto venne inumato nel locale camposanto. Trascorso qualche tempo, nel nuovo cimitero cittadino (lo stesso attualmente in uso) che si stava creando a poca distanza da quello vecchio per sostituirlo, il Comune mise a disposizione una piccola area destinata a ospitare la cappella funebre dell’illustre personaggio: quest’ultima, inaugurata nel 1901 e tuttora esistente, racchiude il busto realizzato nel medesimo anno dallo scultore maranese Domenico Bernabei e la lapide con l’iscrizione dettata dall’amico Zini.
Vignola deve molto a questo suo figlio, che le fu per tutta la vita legatissimo: fra l’altro, egli si segnalò come uno dei benemeriti fondatori della Biblioteca Comunale (1871), alla quale donò e fece pervenire numerose opere a stampa; nel 1872 fu uno dei principali animatori delle celebrazioni indette per commemorare, nel suo luogo natale, l’eminente vignolese Lodovico Antonio Muratori, nel secondo centenario della nascita; figurò nel numero dei promotori dell’istituzione della sezione locale della Deputazione di Storia Patria (si trattava della Società Vignolese di Storia Patria e d’Arti Belle, inaugurata nel 1875). Nel suo paese natale, risultano intitolate a Selmi una strada e la suddetta biblioteca, che dal 1996 accoglie buona parte dell’archivio personale del celebre uomo di cultura, donato integralmente al Comune di Vignola dalla famiglia Borsari Bartoli, la quale discende da lui in linea diretta.
AA.VV.: «Memorie Scientifiche, Giuridiche, Letterarie», Anno Accademico 2017, S. IX, vol. I (2018), fasc. 2, pp. 495-558.
Il presente numero della pubblicazione della modenese Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti racchiude, in queste pagine, il testo di alcune delle relazioni lette durante il Convegno Francesco Selmi. Profilo ed eredità di un intellettuale e patriota nell’Italia pre e post unitaria nella ricorrenza del II centenario dalla nascita (Modena, Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti, 7 aprile 2017): Marco SOLA, Francesco Selmi. Profilo ed eredità di un intellettuale e patriota nell’Italia pre e post unitaria nella ricorrenza del II centenario dalla nascita, pp. 495-496 (presentazione); Marco CIARDI, La carriera scientifica di Francesco Selmi tra ricerca, didattica e divulgazione, pp. 497-513; Roberto CEA, Francesco Selmi e il Risorgimento nel Ducato di Modena, pp. 515-528; Licia BEGGI MIANI, Francesco Selmi studioso di Dante, pp. 529-542; Elio TAVILLA, Francesco Selmi e l’Università di Modena, tra Risorgimento e Unità nazionale, pp. 543-558.
AA.VV.: «Rassegna per la Storia della Università di Modena e della cultura superiore modenese», vol. VIII (1981), Appendice all’Annuario della Università di Modena per l’Anno Accademico 1980-1981 – DCCCVI dalle origini dello Studio, pp. 25-108.
Nelle segnalate pagine del presente numero di questa pubblicazione periodica, si trovano gli Atti della Commemorazione di Francesco Selmi nel centenario della morte (Modena, Aula Magna del Palazzo Universitario, 22 maggio 1981): Pericle DI PIETRO, Biografia e Bibliografia di Francesco Selmi, pp. 25-71 (pp. 25-32: biografia; pp. 32-71: bibliografia); Giorgio PEYRONEL, Il contributo di Francesco Selmi alla chimica generale, inorganica e colloidale, pp. 73-84; Bruno BARBIROLI, Francesco Selmi e la chimica biologica, pp. 85-95; Francesco DE FAZIO, Francesco Selmi e la Medicina legale, pp. 97-108.
BARTOLI, Giovanni: Il Fondo Francesco Selmi. Un importante archivio storico ritrovato, «Gente di Panaro. Rassegna di storia, “storie” e cultura locale – Valle del Panaro», a cura del Gruppo di Documentazione Vignolese “Mezaluna - Mario Menabue”, n. 18 (2016), pp. 73-80.
ID. - DE FAZIO, Francesco - AMOROSA, Michele: Francesco Selmi. L’uomo, lo scienziato, il politico, Vignola, Comune di Vignola, 1981.
CANEVAZZI, Giovanni: Francesco Selmi. Patriotta, Letterato, Scienziato. Con appendice di lettere inedite, Modena, Tipo-litografia Forghieri e Pellequi, 1903.
CERRUTI, Luigi - IELUZZI, Gianmarco - TURCO, Francesca: Scienza, tecnologia e comunicazione iconografica: il caso dell’Enciclopedia chimica di Francesco Selmi, «Le Culture della Tecnica», N.S., n. 18 (2007), pp. 5-50.
CIARDI, Marco: Selmi, Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XCI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2018, pp. 826-829.
Questa voce enciclopedica è disponibile anche nel sito web della Treccani, senza paginazione (ultimo accesso, 4 novembre 2022).
Francesco Selmi. Scienze e lettere per unire l’Italia e fare gli Italiani. Intervista ad Achille Lodovisi, a cura di Piero Venturelli, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», a. VI (2010), n. 1 [complessivamente, n. 20], senza paginazione (ultimo accesso, 4 novembre 2022).
GUARESCHI, Icilio: Francesco Selmi e la sua opera scientifica, «Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino», S. II, vol. LXII (1911), pp. 125-272.
Questo saggio circolò pure come estratto, con due numerazioni delle pagine, quella appena indicata e quella che va da p. 1 a p. 148: Torino, Bona, 1911.
LODOVISI, Achille - VENTURELLI, Piero: Francesco Selmi: scienze e lettere al servizio dell’idea nazionale, «Il Pensiero Mazziniano», N.S., a. LXIV (2009), fasc. 3 [ma: 2010], pp. 17-28.
Francesco Selmi. Commemorazione del Prof. Giambattista Ercolani, «Memorie della Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna», S. IV, t. III (1881), pp. 3-7 (letto nella Sessione del 10 novembre 1881).
Pp. 6-7: «Serva tutta la di Lui vita di abnegazione, così nobilmente spesa per la Patria, per le Lettere e per la Scienza, di esempio e sprone alle crescenti generazioni, che è per esse che noi ricordiamo il nobilissimo esempio di tanta virtù, di tanto sapere. Che per noi poveri vecchi, basta ed è supremo conforto il ricordare, che fino dai nostri primi anni, dividemmo con uomini della tempra e del carattere del Selmi, il culto della Patria, l’amore per la Scienza e per la Libertà. Raccolgano i giovani con riverente affetto, il fiore che oggi l’Accademia nostra depone sulla tomba del carissimo estinto, che è per mano nostra, che fiduciosa la Patria ad Essi lo affida, perché questo fiore nella sua apparente povertà, simboleggia quelle severe virtù, che sole assicurano i futuri destini e la grandezza d’Italia».
[AUGUSTO] TAMBURINI, scritto commemorativo dedicato a Selmi, senza titolo, «Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale in relazione con l’antropologia e le scienze giuridiche e sociali», a. VII (1881), fasc. 3, pp. 241-242.
Pp. 241-242: «Egli [Selmi] aveva 64 anni, ma il suo ardore febbrile per la scienza era tutto giovanile. Tutti lo ricordiamo al Congresso degli alienisti in Reggio nell’anno decorso [si tratta del III Congresso freniatrico italiano, tenutosi dal 23 al 29 settembre 1880 a Reggio Emilia], in cui venne a comunicarci le sue importanti Ricerche sulle urine dei paralitici, ricerche le quali forse contengono il germe di un’altra rilevante scoperta; tutti lo ricordiamo in quel suo venerando aspetto, quella sua fisionomia gentile, pallida, sofferente, ma in cui brillavano gli occhi pieni di intelligenza e di fuoco giovanile.
Le fatiche lungamente durate nella sua operosissima esistenza, quelle fortissime che durava tuttora nei suoi studii e che il suo amore vivissimo per la scienza non gli faceva sentire, ma di cui ben risentivasi il suo organismo che purtroppo additava ben chiaramente le traccie di un progressivo logorìo, la vita passata continuamente, in questi ultimi anni, in mezzo a materie animali in putrefazione, furon tutte cause che preparavano la sua fine, la quale, in seguito a brevissima malattia, avvenne nel suo paese natale, il 13 Agosto u.s.
Quanti studj iniziati, quante nuove ricerche preconcepite, quanti nuovi orizzonti e scoperte intravedute e che colla sua febbrile attività avrebbe in breve tempo certamente portate alla luce, giacciono ora il sonno della morte colla sua salma inanimata!
La sua esistenza però è una di quelle che lasciano una traccia luminosissima, che non si spegne per lungo volger di tempo; è una di quelle energie che imprimono alla scienza un attivo e fecondo impulso, che mai non s’arresta e va quanto il moto lontano. I suoi studii più eminenti, dapprima oppugnati, derisi, contraddetti, poi accettati e subìti, indi ingiustamente rivendicati come proprii da altri, formano ormai il punto di partenza di una serie infinita di ricerche, che non possiamo neppur prevedere sin dove condurrà quella scienza che investiga il chimismo dei corpi morti e viventi. L’influenza della sua potente iniziativa sarà per lungo tempo sentita nel campo degli studj e il suo nome rimarrà nella storia del nostro risorgimento politico e scientifico, come quello di un apostolo d’amor patrio e di un martire della scienza».
CESARE STROPPA, Ricordo sulla vita e sulle opere di Francesco Selmi, «L’Orosi. Giornale di chimica farmacia e scienze affini», aa. IV-V (1881-1882), in 7 parti (a. IV [1881], n. 11 [pp. 364-370] e n. 12 [pp. 412-415]; a. V [1882], nn. 1-2 [pp. 24-28], n. 5 [pp. 163-167], n. 6 [pp. 194-197], n. 10 [pp. 346-350] e n. 11 [pp. 383-390]) (anche in estratto, risultante dall’unione di tutti i segmenti, con alcune piccole modifiche testuali: Sulla vita e sulle opere di Francesco Selmi. Ricordi di Cesare Stroppa, Firenze, Stabilimento di Giuseppe Pellas, 1882).
In rivista, a. IV, n. 11, p. 365; in opuscolo, p. 4: «In Selmi, ravvisiamo un eccelso campione, degno di appartenere a quella nobile figliuolanza di dotti, che in Italia, riconoscendo a padre il sommo Galileo, insegnò come l’alta speculazione si raffermi colla disamina diligente dei fatti, l’intuito sia impedito a svagare per la comparazione sulla realità, e la vivace immaginativa possa giovare al metodo austero delle ricerche, quando solleciti ed inventi i modi di esplorare, e non voglia con sue creazioni supplantare all’esperienza.
Portato per indole a girar l’occhio in ampio orizzonte, il Selmi non si restrinse unicamente a coltura della scienza che professò con lustro e gloria; laonde non fece divorzio da’ suoi tempi, né si fabbricò una cella da romito, siccome altri, turando gli orecchi per non udire il rumore degli avvenimenti, o rifuggendone lontano, quasi ne profanassero le speculazioni o ne turbassero i sonni. Anzi francamente vi s’immischiò e più volte; non trascurando frattanto gli arcani della scienza e le dolcezze dell’arte».
In rivista, a. V, n. 11, pp. 389-390; in opuscolo, pp. 34-35: «La Patria con viscere di madre additerà la maestosa figura del Selmi qual veterano per la libertà, e tutta la sua vita così nobilmente immolata, servirà di sprone alle crescenti generazioni, giacché è per esse che si ricorda il nobilissimo esempio di tanta virtù, di tanto sapere; e il Selmi fu veramente uno di quei pochi, di cui non si può dire, se fu maggiore l’altezza dell’ingegno o la bontà del cuore.
Temprato da natura a soave mestizia, visse solitario e modesto, né mai cercò onoranze, quantunque da ogni parte della Penisola e fuori, meritamente gli venissero tributate. L’ideale del cuore Egli lo cercò nella pace della famiglia, nella quale comprendeva anco i suoi allievi e lo trovò così pieno e giocondo come ben meritava. Nelle sventure domestiche e nei mali fisici, che frequenti, se non gravi, lo travagliarono, ebbe non lieve conforto nel sentimento religioso, che era in Lui sincero e profondo, scevro da qualunque superstizione.
L’indole sua mite e benevola lo rese caro a tutti, carissimo agli amici, ai colleghi: e degli illustri scienziati d’Italia e dell’estero che ebbe amici, e coi quali teneva frequente corrispondenza di lettere, sarebbe qui troppo lungo ricordare.
Chi ebbe la ventura di conoscere il Selmi, non potrà sì facilmente dimenticare la sua gracile, ma simpatica figura, la fronte serena e pensosa, la pupilla chiara e vivace, il fino sorriso delle sue labbra, la grazia signorile dei modi, l’arguto e mite favellare, e quel non so che di gentile e verecondo che spirava da tutta la persona.
L’onesta franchezza degli atti, delle parole, del portamento, non scompagnata da certa grazia e timidità giovanile, rivelava il suo carattere, delicato insieme e civile, pronto ai magnanimi sdegni, più pronto alla pietà e al perdono. Ed ora l’immagine sua, santificata dalla morte, si ricompone più serena e più amabile nell’animo nostro, che la contempla con un senso di ineffabile dolcezza e di profonda riconoscenza. Che se dinanzi all’immagine dell’uomo nobilissimo, dell’amoroso Maestro, del tenero amico, si risveglia più vivo ed acuto il dolore, l’animo si riconforta tuttavia nel pensiero che la parte migliore di lui vivrà sempre nei virtuosi esempii e nelle opere immortali che ha lasciato all’Italia nostra. Alla quale voglionsi augurare non pochi cittadini, che, se non nell’ingegno che è dono di natura, gli rassomiglino nella illibatezza del costume e nella bontà di vita civile».
ASCANIO SOBRERO, Commemorazione del professore Francesco Selmi Socio Corrispondente dell’Accademia, «Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Classe di Scienze Fisiche e Matematiche», vol. XVII (1882), pp. 131-136 (testo letto il 1° gennaio 1882).
Pp. 134-135: «L’operosità del SELMI è tanto più degna di lode se si consideri quanto la sua vita corresse agitata nelle lotte politiche, e se si tien conto della scarsezza dei mezzi dei quali egli poté valersi nelle ricerche scientifiche, lavorando in laboratorio non suo, od in laboratorio meschinamente dotato, come era, per quanto mi fu riferito, quello della sua scuola di chimica farmaceutica in Bologna, che per soprappiù era angusto, umido e malsano».
P. 136: «il SELMI nella vita sua travagliata meritò lode di benemerito cittadino e di distinto scienziato, a chi il conobbe dappresso egli apparve ornato d’onestà di carattere, di integrità di costume, modesto e dolce di modi».
VITTORIO BERSEZIO, Il regno di Vittorio Emanuele II. Trent’anni di vita italiana, 8 voll., il nome del luogo di pubblicazione e il nome dell’editore variano, 1878-1895.
Vol. VI (Torino-Roma, L. Roux e C., 1892), p. 101: «Modesto, rifuggente da ogni ostentazione, non avido di onori, d’aspetto quasi timido, di poche parole ma preciso nell’esprimersi, arguto nel conversare, non facendo mai pompa del suo sapere, ma lasciandolo apparire all’occorrenza per un motto, una risposta, un’osservazione, fermo e coraggioso nelle opinioni, tollerante delle altrui, lavoratore zelante e instancabile, Francesco Selmi fu amatissimo a Torino, ed egli la città che l’ospitava e lo onorava, amò quasi come la sua natìa».
Memorie della Baronessa Olimpia Savio, 2 voll., a cura di Raffaello Ricci, Milano, Treves, 1911 (pubblicazione postuma di parte del diario della gentildonna torinese).
Vol. I, pp. 116-117: «Uomo raro, di gran cuore, di grandi studi, di grande carattere; i cui criteri s’improntavano a quella schietta, ingenua lealtà dei cuori semplici, che non hanno transazioni col giusto e col vero; anima candida, limpida, credente, divisa tra l’amore dello studio e quello della famiglia.
Appassionato della sua scienza, ne spingeva gli esperimenti fino al punto di abbreviarsi la vita nelle analisi pericolose dei veleni (ptomaine), di cui scoprì la formazione spontanea nel decomporsi del corpo umano; scoperta che salvò la vita di più di un innocente, poiché egli veniva chiamato quale perito per scoprire se negli avanzi di cadaveri, sospetti di avvelenamento, fossevi traccia di elementi velenosi […].
Cotesti esperimenti lo portarono ad analizzare il latte e le carni delle bestie da macello per vedere se il trovato moderno, dell’ingrassamento ottenuto coll’arsenico, non fosse dannoso ai consumatori. Ma mentre era intento a questa grave soluzione, moriva vittima di queste pericolose indagini, martire volontario della propria scienza».
ICILIO GUARESCHI, Francesco Selmi e la sua opera scientifica, «Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino», S. II, vol. LXII (1911), pp. 125-272 (il saggio circola pure come estratto, il quale prevede due numerazioni delle pagine, quella appena indicata e quella che va da p. 1 a p. 148: Torino, Bona, 1911).
In rivista, pp. 125-130; in opuscolo, anche pp. 1-6: «Discorrere di Francesco Selmi, dire le lodi dell’animo e dell’ingegno di quest’uomo è còmpito elevatissimo ed anche difficile; ma tanto più volentieri soddisfo al desiderio dell’animo mio perché la figura di Francesco Selmi è una di quelle poche che il tempo rende più visibili, più belle, più conformi al vero; è una di quelle figure d’uomo e di scienziato il cui valore morale e scientifico ingrandisce col tempo […].
Francesco Selmi è uno di quegli scienziati di gran valore che deve essere conosciuto anche come uomo privato e pubblico, perché la gioventù specialmente ha bisogno di questi stupendi esempi. Egli ha fatto molto pel proprio paese, sia come cittadino sia come scienziato. Come cittadino ha contribuito dal 1845 al 1870 al riscatto della patria sacrificando le comodità della vita. E di tutto ciò non chiese mai al Governo, direttamente o indirettamente, dei compensi, né eccessivi e molteplici stipendi. Soffrì l’ingratitudine di alcuni di coloro a cui aveva fatto molto bene; ma in questi casi egli era solito dare una scrollatina di spalle […].
Selmi fu sovratutto un uomo onesto nel più largo significato della parola; egli mai ha fatto del male, pensò sempre a fare il bene, anche a coloro che non erano della sua scuola; era in lui innato il sentimento della giustizia. È stato detto, non rammento più bene da chi, ma assai giustamente, che Francesco Selmi ebbe spesso a provare le punte avvelenate e disoneste dell’invidia e della gelosia. Ha dovuto combattere contro dei malvagi, ma combatté sempre con armi leali; provava un vero senso di amarezza quando pensava a certe bricconate, come soleva denominare o qualificare il modo di comportarsi di taluni verso di lui. Non odiava mai, piuttosto disprezzava […].
Il senso della giustizia per la memoria dei nostri grandi che non sono più viene talora in ritardo, ma oggi ci sentiamo orgogliosi pensando che le ricerche e le idee del Selmi su svariati argomenti di chimica fisica, chimica inorganica, chimica tossicologica, chimica biologica, ecc., sono state non solo confermate, ma generalizzate, e costituiscono dei grandi nuovi capitoli della scienza.
Egli era giusto estimatore dei lavori altrui; nei suoi libri non dimenticava mai le ricerche dei chimici italiani, anche suoi contemporanei […], e non dimenticava nemmeno i più giovani chimici allievi dei suoi colleghi […]. Hanno fatto altrettanto alcuni dei suoi contemporanei, che scrissero di chimica? No.
Sempre cortese, moderato nella polemica, se vi era trascinato; sempre con garbo accenna talora alla priorità dei suoi lavori quando avveniva che altri facessero ricerche od osservazioni identiche alle sue.
Era modesto, umile anche, ma dignitosamente; era di quei pochi uomini che temono sempre di non sapere abbastanza e mentre lodano gli amici ed i colleghi, credono di sapere poco […].
Al suo sapere, alle sue virtù non cercò compensi nelle laudi del mondo e visse essenzialmente per la scienza e per la famiglia, quando la patria non aveva più bisogno di lui. Tutto deve all’elevato suo ingegno ed al suo lavoro.
Era alieno dagli applausi del gran pubblico, e non ha mai fatto discorsi o conferenze in cui continuamente e ripetutamente ricordasse le proprie ricerche o qualche altra sua benemerenza verso la scienza. Ha fatto delle ricerche numerose ed importanti in quei campi della scienza in cui poteva lavorare senza aver avuto, come si direbbe oggi, un indirizzo; non era di quelli che lavoravano secondo il cosiddetto metodo! Ma aveva l’ingegno e con questo poteva produrre, creare, senza bisogno dell’appoggio di altri.
A Selmi mancava l’arditezza, mancava l’audacia nell’affermare e più ancora nel far valere le sue idee; aveva non molte doti per vincere nella lotta per la vita. Era troppo modesto, come già dissi; ed era modestia vera, non ostentata […].
Profondo conoscitore degli uomini, sapeva tollerarne i difetti, sino a quando erano nei limiti dell’onesto; non era passionale, non impulsivo, e nei suoi giudizii dimostrava sempre quella imparzialità e serenità che è propria dell’uomo coscienziosamente giusto e di mente elevata […].
Era credente, religioso, ma senza esagerazione, né ostentazione; vedeva nella religione qualcosa di puro, di elevato, che non è nel comune degli uomini. Io avevo opinioni mie diverse dalle sue e sino dai primi anni spesso, o nel laboratorio, o a casa, o per istrada ci intrattenevamo in lunghi conversari relativamente a questioni religiose. Avrebbe desiderato che io fossi più vicino alle sue idee, mi faceva anche qualche predica, ma tutto finiva lì; egli era molto tollerante. Parlava con sommo rispetto di Lutero, di Calvino, di Savonarola, di tutti i più grandi riformatori. Egli, che era cattolico! Mai di quelle parole insultanti verso chi ha una religione diversa dalla propria. Ma era di idee larghe […].
Anche in politica era un vero carattere.
L’animo nobile di questo uomo si manifestò in molte occasioni […].
In ogni occasione Egli pensava più al proprio paese che non a sé stesso.
È bene che la storia tenga nella dovuta considerazione anche il carattere e la vita privata dello scienziato; tanto più nel caso di Selmi si aveva, insieme ad una grande bontà ed onestà, un sapere elevatissimo. Dobbiamo inchinarci reverenti alla memoria di quest’uomo che proprio può dirsi senza macchia».
Durante l’adolescenza e la prima maturità, Selmi si dedicò non occasionalmente alla composizione di versi, spesso lasciandoli manoscritti.
Il suo lavoro poetico più noto è senza dubbio quello che egli destinò a celebrare il paese natale: si tratta di Canto a Vignola, uscito nell’aprile 1840 all’interno del «Giornale letterario scientifico modenese» (t. II, n. 7, pp. 77-80). Quest’opera consta di tredici strofe di otto versi ciascuna: il primo, il secondo, il quarto, il quinto e l’ottavo sono endecasillabi, mentre il terzo e il settimo sono settenari; lo schema delle rime è ABcBACdD. Il testo poetico risulta accompagnato da sette note esplicative a piè di pagina; alla loro compilazione potrebbe aver partecipato l’Autore, a dispetto di quanto si legge nella seconda nota e a dispetto di imprecisioni o errori contenuti in altre (limitandoci all’ultima, il celebre medico e veterinario Antonio Alessandrini nacque a Bologna nel 1786 e morì nella stessa città nel 1861 senza vantare alcun parente originario di Vignola e senza avere mai risieduto in quella località, anche se da ragazzino egli dimorò nella vicina Savignano [oggi Savignano sul Panaro]; pochi anni dopo la pubblicazione di questo poemetto, Selmi maturò rapporti amichevoli e di collaborazione professionale con lui e, poi, con uno dei suoi migliori allievi, il bolognese Giovanni Battista Ercolani [1817-1883], al quale rimase legatissimo per tutto il resto della vita e del quale fu collega all’Ateneo petroniano dal 1867 al 1881, anno della morte del nostro personaggio).
Selmi si cimentò con impegno in diversi settori. Stese anche numerosi romanzi, racconti e favole, la maggior parte dei quali risultano tuttora inediti. Nel licenziare per la stampa alcuni dei suoi testi narrativi, egli preferì celarsi dietro pseudonimo: ad esempio, questo è il caso della raccolta I primi racconti scritti da un Maestruccio di Scuola (1847), uscita in seconda edizione corretta e accresciuta con il titolo di Racconti morali scritti da un Maestruccio di Scuola per lettura dei giovanetti italiani (1853), ma è pure il caso di Il Favoleggiatore (1857), raccolta di favole firmata «M. di S.»; inoltre, l’Autore pubblicò il romanzo Battista Cannatelli (1866) sotto il nome di «Italo De’ Vecchi».
Soprattutto fra il 1860 e il 1867, Selmi studiò Dante in maniera appassionata. Queste accurate indagini del celebre Vignolese, che già possedeva una vasta cultura umanistica, s’intrecciarono alla sua ricerca filologicamente erudita delle radici della lingua nazionale.
In quel periodo, Selmi dedicò alcuni scritti di rilievo alle opere del grande Fiorentino e fece il possibile affinché gli Italiani le leggessero, e affinché onorassero il loro autore. Inoltre, mandò alle stampe due antichi componimenti poetici, che attribuì a Dante e che riteneva sconosciuti e inediti.
Non solo. Selmi pubblicò nel 1865 un interessantissimo commento anonimo, che risaliva alla prima metà del XIV secolo, dell’Inferno; raccolse parecchio materiale su Dante con l’obiettivo di scriverne una biografia, progetto che tuttavia non si concretizzò, in quanto gli riuscì impossibile far luce su alcuni aspetti che egli considerava non trascurabili; intrattenne rapporti epistolari con alcuni dei più grandi dantisti del tempo e con bibliotecari di pubbliche istituzioni ove si custodivano codici della Commedia; sceneggiò un dramma lasciato imperfetto, avente come personaggi principali Dante e Beatrice; pronunciò almeno una conferenza sul Poeta Nazionale.
E ancora: Selmi fu a un passo dal veder approvato un decreto, da lui promosso e della cui minuta risultò estensore, che stabiliva l’istituzione, in ciascuna delle tre Università emiliane (ossia Bologna, Modena e Parma), di una cattedra di commento a Dante (1860); caldeggiò la proposta di realizzare un’edizione nazionale della Commedia; lui stesso esaminò un numero considerevole di codici del poema dantesco, trascrivendone le varianti e rivolgendosi a molteplici studiosi di sua fiducia perché facessero lo stesso o mettessero a disposizione il frutto di spogli precedenti (il suo scopo diventò, nel 1863/1864, quello di predisporre, in collaborazione con il linguista salernitano Bruto Fabricatore [1822-1891], un’edizione della Commedia che accogliesse le più significative varianti del testo); partecipò alle celebrazioni per il sesto centenario della nascita di Alighieri (1865).
Selmi considerava Dante il maggiore poeta italiano, giudizio che – a lungo e fino a pochi decenni prima – era stato condiviso da pochi uomini di cultura.
Secondo l’illustre Vignolese, il grande Fiorentino aveva moltissimi meriti in campo letterario, fra i quali non era da tralasciare il suo ruolo nel far maturare la lingua volgare italiana con capitali opere in poesia e in prosa.
Selmi si dichiarava altresì convinto che occorresse lodare Dante pure al di fuori di quell’ambito. Per esempio, Alighieri aveva respinto il concetto di plenitudo potestatis papale e auspicato che Roma diventasse sede tanto del seggio imperiale quanto di quello pontificale. Ma non solo: Selmi elogiava il Sommo Poeta anche perché questi si rivelò attivamente “aperto al mondo” e cercò di diventare alleato – o, meglio, guida – degli individui di buona volontà, riservando non di rado speciale attenzione al presente e al futuro degli Italiani.
Ad avviso dell’insigne Vignolese, infine, Dante condensava in sé le migliori qualità dell’uomo italiano, ragion per cui egli era e doveva essere modello per i connazionali di ogni tempo.
Nei brani presenti in questa sezione, si è deciso di conservare inalterate la grafia dei vocaboli e la punteggiatura, e di normalizzare gli accenti alle convenzioni tipografiche odierne.
Può qualcuno, o di spiriti pregiudicati, o di coltura ristretta ad un dato ramo, per mancanza di vista più profonda, reputare solo opportuno ad Italia le strade da aprirsi, i commercii da risvegliare, gli opificii da moltiplicare; ma chi si allevò in più ampia cognizione delle cose nostre, e cercò i tempi di nostra grandezza, ed investigò l’indole dell’Italiano, non crede in buona fede che la sola prosperità materiale sia giovevole al pieno rifiorimento della penisola, né contentare le generazioni vegnenti. L’Italiano è fatto tale che ha uopo di alto levarsi; né per nulla ricevette per eloquio suo, la favella degli Dei, né il privilegio di primeggiare per via delle gentili discipline. La sola materia lo stanca ed invilisce; né mai potrebbe dimenticare che procede dal ceppo d’onde Redi, Galileo, da Vinci, l’Alberti, il Vallisnieri[,] il Manfredi, il Volta, il Mascheroni, cioè tutti i nostri sommi delle scienze naturali e matematiche, i quali accoppiarono alla cognizione di esse quella eziandio delle lettere, sì da essere scrittori forbiti ed eleganti. Sento vantare da parecchi gli Americani settentrionali, e proposti a modello; ma non coglierebbero più giusto se ci offrissero ad esemplari quei padri nostri che sono non solo fiaccola a noi, ma all’intero mondo civile?
La lingua nazionale nell’Italia nuova, «Rivista Contemporanea», a. IX (1861), vol. XXVII, fasc. di dicembre, pp. 344-382: 344-345 (lettera dedicatoria a Luigi Carlo Farini [1812-1866]).
Chiunque considera i mali dell’Italia, secolari più volte, e conosca, non dico in tutto, in parte solo quale fosse l’opera assidua e moltiplicata della pessima signoria per travagliarla da capo a fondo sino a cambiarle sembianti e natura; concorrendo in funesto accordo su questa povera terra, qualsivoglia maniera e setta di retrogradume, sicché di culla classica dei sommi uomini, fosse poi abitazione e nutrice di pigmei, dico non vorrà renderla in colpa che ora abbia difetto di forti ingegni. Anzi compatendole, vorrà poi venirsi consolando, ponendo mente come tra i fiacchi e pusillanimi producesse pure qualche audace, e animi rubesti, e ricorderà la natura baldanzosa dei molti che ad incredibile spregio della vita buttaronsi nelle imprese arrischiosissime e nelle battaglie difficili, votandosi a morte per l’onore, per il ricuperamento, la difesa della libertà e dell’indipendenza.
Di alcune ragioni della presente mediocrità in Italia, «Rivista Contemporanea», a. X (1862), vol. XXVIII, fasc. di marzo, pp. 383-428: 384.
[…] io sono d’avviso che gli ostacoli agli studii, la persecuzione infaticabile alle menti svegliate e più ardite, gl’impedimenti ai viaggi, alla cognizione dei progressi altrui, conservandoci in istato di funesta ignoranza, irruginendoci [sic] gl’intelletti, assuefacendoci [cioè: assuefacendo noi Italiani] ad acre accidia ed a vano orgoglio, furono pessimi tra i mezzi usati dalle cattive signorie ad estinguere in noi la coscienza di noi medesimi; e non solo operarono malamente sulla generazione che passa, ma predisposero a brutta inclinazione anche quella che sorge. E qui parmi urgente che si accorra a riparare il danno.
Ivi, p. 425.
Veduta della piazza di Vignola (su tale incisione, cfr. infra) e frontespizio di Iconografia dei celebri vignolesi. Opera edita per cura di Francesco Selmi, Modena, A spese di Giuseppe Lupi librajo, 1839; fonte: google.com. Si tratta di una piccola pubblicazione periodica di carattere collettivo che, completa, risulta costituita di sette dispense singole (le quali presentano in alcuni casi note tipografiche parzialmente diverse da quelle presenti nel frontespizio del volumetto rilegato, per esempio «Presso il libraio Giuseppe Luppi»; quest’ultimo, peraltro, è il nome corretto del libraio modenese), così intitolate: Jacopo Cantelli (autore N.C. Garoni), Lodovico Antonio Muratori (autore G. Galeani Napione), Jacopo Barozzi da Vignola (autore F. Selmi), Pietro Antonio Bernardoni (autore P…), Agostino Paradisi (autore F. Predari), Giuseppe [Maria] Soli (autore M. Valdrighi), Veronica Cantelli Tagliazucchi (autore F. Selmi). Ogni dispensa si mostra qui accompagnata dall’incisione del ritratto dello specifico personaggio (Cantelli, opera di C. Piotti Pìrola; Muratori, opera di C.A. [Artaria]; Barozzi, opera di A. Locatalli; Bernardoni, opera di G. Guzzi; Soli, opera di C. Piotti Pìrola; Cantelli Tagliazucchi, opera di C. Piotti Pìrola). Diversi esemplari del volumetto contengono anche, in antiporta, due incisioni (entrambe eseguite da E. Corty a partire da disegni realizzati dal vivo) raffiguranti particolari di Vignola: la prima, dal titolo Veduta di Vignola presa da Levante, con la riva sinistra del Panaro, la rocca, il campanile della chiesa parrocchiale e poco altro; la seconda, dal titolo Veduta della Piazza di Vignola, con la «Piazza» (dal 1865 al 1882, Via Maggiore; dopo, Via G. Garibaldi) in prospettiva nella porzione che va dalla casa natale di Pietro Ercole e Domenico Belloi (sulla destra) e dalla chiesa dei Santi Nazario e Celso (sulla sinistra) alla Torre dell’Orologio. Risulta che sia le dispense sia i ritratti sia le vedute di Vignola fossero commerciate a parte. Esiste un’edizione anastatica dell’Iconografia dei celebri vignolesi, priva delle vedute di Vignola, realizzata a cura del Gruppo di Documentazione Vignolese “Mezaluna - Mario Menabue”, Savignano sul Panaro (MO), Gruppo Industriale FG, 2017.
Di uno studio da fare per l’edizione nazionale della Commedia di Dante Alighieri,
«Rivista Contemporanea», a. IX (1861), vol. XXVI, fasc. di luglio, pp. 70-87.
Prima di copertina dell’esemplare di Il Convito di Selmi recante la dedica autografa di un figlio dell’Autore (probabilmente il secondogenito Pier Alberto), datata da Venezia il 26 agosto 1883, al conte Luigi Sernagiotto; collezione privata. Non priva d’interesse è la figura del dedicatario. Luigi Sernagiotto di Casavecchia nacque a Montebelluna, vicino a Treviso, il 27 novembre 1822 e morì a Venezia il 23 marzo 1904. Proveniente da una famiglia di commercianti, egli si dedicò a lungo agli ozi letterari, rivolgendo il proprio acuto ingegno a diversi campi e licenziando per la stampa parecchi libri e articoli. Uomo di profonda pietà, mise sovente al servizio della religione cattolica la sua notevole cultura e le sue non comuni conoscenze linguistiche, divenendo – oltretutto – uno dei maggiori studiosi ed esperti del pensiero e degli scritti di Antonio Rosmini (1797-1855) così come della loro diffusione e fortuna in Europa e nell’America settentrionale; di quell’illustre e – all’epoca – assai contrastato teologo e filosofo roveretano, Sernagiotto fu altresì uno dei principali apologisti ottocenteschi. Il nobiluomo veneto godette di una certa fama anche come critico d’arte.
Frontespizio di Chiose anonime alla prima cantica della Divina Commedia di un contemporaneo del poeta pubblicate per la prima volta a celebrare il sesto anno secolare della nascita di Dante da Francesco Selmi. Con riscontri di altri antichi commenti editi ed inediti e note filologiche, Torino, Stamperia Reale, 1865; fonte: collezione privata. In questo volume, il celebre Vignolese è editore di un commento all’Inferno che era stato tramandato in forma manoscritta, che risultava opera di un autore ignoto operante nella prima metà del XIV secolo e che, dopo la sua stampa, cominciò significativamente a essere conosciuto a livello internazionale sotto la denominazione di Chiose Selmi o Chiose Selmiane.
Frontespizio del vol. I (A-AM, 1868) di Enciclopedia di chimica scientifica e industriale ossia Dizionario generale di chimica colle applicazioni alla agricoltura e industrie agronomiche, alla farmacia e materia medica, alla fisiologia animale e vegetale, alla patologia, anatomia e tossicologia, all’igiene pubblica e privata, alla merciologia o scienza delle materie prime, alla mineralogia, metallurgia, ecc. Opera originale diretta da Francesco Selmi Professore nella R. Università di Bologna e compilata da una eletta di chimici italiani, suddivisa in 11 volumi e impressa tra il 1868 e il 1878, dapprima a Torino-Napoli dalla Società L’Unione Tipografico-Editrice Torinese (dal vol. I al vol. V [CON-EV, 1871]), poi a Torino-Napoli-Roma presso l’Unione Tipografico-Editrice (dal vol. VI [F-GU, 1873] al vol. VIII [N-PI, 1874]) e, infine, solo a Torino sempre dall’Unione Tipografico-Editrice (dal vol. IX [PL-SA, 1876] al vol. XI [V-COM {COM sta per Compendio storico della chimica, saggio privo di firma – cionondimeno da attribuire a Selmi – collocato alle pp. 503-726}, 1878]). Fonte: Biblioteca Comunale “Francesco Selmi” di Vignola.
Monumento in ricordo di Selmi (1882), Palazzo del Rettorato dell’Università di Bologna. Il busto e la lapide furono eseguiti da Giuseppe Pacchioni (1819-1887), mentre l’epigrafe venne dettata da Luigi Calori (1807-1896). Per commemorare Selmi, che morì come presidente in carica della Società farmaceutica delle Romagne (con sede a Bologna), essa nel 1881 decise di sciogliersi, di erogare il fondo sociale a quel fine e di promuovere la nascita di un Comitato per le onoranze dell’illustre defunto. In tutto ciò va ricercata l’origine di questo monumento.