CELEBRI VIGNOLESI

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L’aquila, l’avoltoio e la civetta



L’aquila, re degli uccelli, veggendo che le tornava impossibile di governare da sola i suoi vasti dominii, per la lontananza dei luoghi e le diversità delle favelle, spartì il reame in provincie, a ciascuna delle quali deputò un suo vicario scelto tra i più fidi della milizia, della baronia e della cittadinanza. Là, in due paesi dei più remoti dalla sua sede, abitati da anitre e da beccafichi, mandò con pieni poteri, a reggere in nome suo, l’avoltoio e la civetta, ciascuno dei quali con un incarico proprio, ma nondimeno così artificiosamente in dipendenza tra di loro, che a nessuno fosse in facoltà di operare a proprio capriccio, senza consiglio o sorveglianza dell’altro.
Prima di congedarli, dopo già conferita loro la nomina a seconda delle solenni forme in uso, l’aquila si rammemorò che costoro, per istintiva voracità, avrebbero potuto recare qualche noia alla vita di quei suoi popoli, e perciò volle benevolmente ammonirli, di osservare sobrietà, non giocare coi loro soggetti a trastullo di rostri e di artigli, e se patissero qualche voglia si saziassero di erbe, di ghiande, di castagne, di frutta che loro concedeva in piena balìa.
Non è a dire se,* durante il viaggio, i due vicarii non si trovassero d’accordo nel dare le beffe alle ultime ingiunzioni dell’aquila; se l’avoltoio non ne prorompesse in risa feroci, e la civetta non uscisse di quando in quando in istrida lugubri, ironiche, di pessimo augurio per coloro cui toccava la trista sorte di riceverli a padroni.
Giunti ai paesi loro affidati, si diedero immantinenti all’opera di ordinare a loro modo la sociale famiglia che colà era vissuta lunghi anni pacificamente ed in libera signoria di sé; e per riuscirvi più sollecitamente reputarono in acconcio di levare con sommario processo gli ostacoli che loro paressero di maggiore difficoltà. Ciò diede occasione all’avoltoio di pascersi lautamente delle pingue carni di quelle anitre e di quei beccafichi cui paressero in uggia le novità, o che gli stuzzicassero di più l’appetito; nel quale frattempo la civetta notturnamente** fece eziando suo pro’ dei suoi amministrati, senza rumore, alla sordina, e menando meno strage perché di stomaco meno capace.
Passati alcuni anni, l’aquila sentì il dovere di visitare i luoghi sottoposti al proprio scettro, e vi si avviò con isplendido e magnifico apparato, quale convenisse all’alta dignità del suo grado eccelso. Trovò nel cammino bene e male, e la misura del bene decrescere quanto più si discostasse dal centro, sicché alla periferia, ohimè! il male soprabbondava e traboccava tanto che del contrario non iscorgevasi più reliquia.
Nelle provincie dell’avoltoio e della civetta, appena giunta fu ricevuta da un esercito innumerabile di uccelli rapaci e notturni, che ebbe a maravigliare come fossero ivi adunati in sì grandi torme; ma quando, dopo gli ossequii li congedò, e fu sola coi vicari, rimase non diversamente che in immenso deserto, spopolato e devastato fino all’ultimo dei naturali abitatori.
E volgendo intorno lo sguardo, ed appena intervedendo in qualche palude lontanissima rari becchi di anitra mostrarsi di fuga dai cannetti, e ritirarsi subito, e due o tre beccafichi nascondersi tra il fogliame di qualche albero dei più distanti, restò stupita e mortificata; e rivoltasi ai due vicari; che faceste, loro chiese, delle mie genti?
La civetta si attendeva a questa domanda e ne fu lieta in cuor suo. Per odio al compagno, il quale pretendeva sempre di tenerle sopra il predominio, e più volte insultolla, aveva preparato con fino accorgimento una scena inaspettata, che isvelasse l’avvenuto senza uopo di manifestare le cose a voce. Essendo stata in dimestichezza intima colle streghe, avevano appreso le arti, e perciò gettate le sorti affinché ad un suo minimo cenno l’incanto avesse effetto.
«Signora, rispose colei con umile e basso accento, io mi studiai con ogni mia sollecitudine di eseguire gli ordini datimi, e di rispettare le vite dei vostri fedeli sudditi, ad eccezione di qualche rarissimo caso, in cui la giustizia, il buon governo e la sicurtà domandarono di procedere severamente. Per il resto, il vicario avoltoio dispose dell’affidatogli potere come stimò opportuno, voglio supporre per il meglio e non mai con malvagi intendimenti.»
Nel mentre che ciò diceva, l’aere fecesi improvvisamente greve, freddo, tenebroso; per brevi istanti un silenzio di sepolcri; indi a poco a poco cominciò un lontano ronzio, un moltiplicato frombare simile a forti colpi di ala, uno scricchiolare di ossa che si urtassero, che andò crescendo e divenne spaventevole.
L’aquila, quantunque coraggiosa, nondimeno ne restò con paura e guardò allibita a’ suoi vicarii, l’uno dei quali nascondeva gli occhi sotto le palpebre acciò non ne trasparisse l’interna compiacenza, e l’altro se ne stette attonito, stupefatto e più rabbioso che sbigottito.
Il murmore aumentò ancora e si accompagnò di una strana comparsa di macchie nere, guizzanti, nebbiose, in tale moltitudine e di tal forma da somigliare ad un esercito di ombre vagolanti di anitre e beccafichi.
Come l’aquila si fu ripresa dallo smarrimento ed ebbe considerato e meditato sulla formidabile apparizione, gridò a’ suoi vicarii:
«Sorgono i morti, i morti dal vostro iniquo reggimento, a testimoniare contro di voi.»
«Signora, soggiunse incontanente la civetta; interrogate quelle ombre e loro domandate se da me o da altri il fattone macello.»
L’avoltoio capì tosto dove si scaricarebbe la bufera, e fu audace e pronto a scongiurarla:
«Signora, sclamò con voce ferma e faccia imperterrita, se coloro parlassero, me accuserebbero di avere compiuta l’opera, e questa fattuchiera d’averla ordita e preparata. Ma io non curo di scagionarmi; dessi erano irrequieti, riottosi, ribelli all’autorità vostra, in continuo conato di scuoterne la signoria, ond’io visti inutili i blandi rimedii, ricorsi ai forti, invocai l’aiuto degli amici miei, e insieme demmo dentro alla turba vile, che si sparpagliò e si sottomise.»
«Ma tu mi trasformasti siti frequentissimi in un cimitero desolato.»
«Signora! tra perderli popolati o conservarli in cimitero, che avreste scelto voi?»***

L’aquila ebbe il torto massimo di quanto accadde, e su di lei pesa la colpa. Conoscendo la natura dell’avoltoio e della civetta, doveva mai eleggerli a suoi vicarii in paesi dove avrebbero potuto scapricciarsi a loro posta, e saziare a libito le loro voglie ingorde!




* Nell’originale, questa virgola risulta assente, ma ce n’è una prima di «se».
** Nell’originale, qui è presente una virgola.
*** Nell’originale, la riga successiva risulta composta per intero di puntini. Tuttavia, poiché in quelle favole della raccolta che si concludono con la morale questa viene di solito scritta dopo uno stacco di una riga bianca dal testo precedente, qui preferiamo agire nello stesso modo.




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