Fu presa un’aquila regale e portata ad un ricco e nobilissimo signore, feudatario di non so quale castello, che l’accettò con grandi contrassegni di allegrezza e fecela mettere dentro ampia, robusta gabbia di ferro e collocare vicino ad una sua diletta ed ammaestrata gazza in una delle maggiori sale del palazzo. L’uccello prigioniero, sbalordito del tristo caso accadutogli di essere in mani altrui, né potere più a suo libito poggiare nelle alte regioni dell’aria, stette da principio confuso e tremante; perché rimordeagli coscienza di molte rapide ed uccisioni commesse a danno del nuovo padrone, cui ebbe predato polli, colombi e perfino teneri agnelli, e turbato dalla paura vedea nella gabbia uno strumento di martirio cui succederebbe la morte. Non sapendo a qual consiglio attenersi, e desiderosa almeno di conoscere meno incertamente la sorte che le toccherebbe, si volse alla gazza interrogandola timidamente se il signore del loco fosse umano e pietoso o vendicativo e spietato; se degli uccelli facesse strazio o si dilettasse di serbarli solo in custodia, e se riconosciutola per animale di rapina non avrebbela odiata e punita quantunque fosse innocente verso di lui, e non ricordasse mai d’avergli apportato nocumento alcuno.
La gazza, che da ciarliera in fuori era femmina di buona indole, si mosse compassione dello strano spavento dal quale si accorse essere dominata l’aquila, e fece ogni sua possa per tranquillarne lo spirito, infonderle confidenza del presente e dell’avvenire; tanto che l’altra ripigliò l’animo smarrito e, quantunque* sospirasse del carcere, tuttavolta non più allibì dal pensiero terribile di una fine imminente e dolorosa. Fu allora che costei alquanto rimbaldanzita cominciò a guardarsi intorno, e a darsi l’agio di osservare e scrutare il sito nel quale l’avevano confinata, dove vide con piacevole maraviglia** sé essere ritratta in più quadri e dipinture sulle pareti e sulla vôlta, e con forme diverse, sicché per poco non credette che fosse stata trasportata in una reggia preparatale a bella posta.
Il signore del palazzo, sia per antico lustro di natali, sia per amore sterminato dell’arte blasonica, aveva ivi raccolto stemmi, simboli, emblemi, insegne di guerrieri, di potenti, di popoli, di stati celebri dei tempi prischi e dei moderni; perciò ogni e più diversa sorta di aquile che mai fossero campate in iscudi o in bandiere, o levate sulle aste, o portate sugli elmi; bianche, bigie, nere; ad ali spiegate e ad ali accolte; a una testa sola, e a due teste; con corone in capo marchionali, ducali, regie, imperiali; corpo di aquila con suvvi capo di leone, o torso di leone con testa d’aquila; aquila co’ fulmini negli artigli, ai piedi di Giove tonante; perfino il bizzarro artista aveva immaginato sopra tela un’aquila di fame insaziabile, rapacissima, astuta, crudele, divoratrice di molti animali più deboli di lei, con molte teste, non saprei quante, parte recise ma rinascenti nel tempo stesso, e però della portentosa virtù che fu attribuita all’idra.
Con tale e tanta intensione di mente l’aquila si fermò lunga pezza a considerare quelle immagini di sé, da non udire neppure la voce stridula della gazza che la chiamava, e,*** quando si riscosse, le si voltò alteramente e con isguardo sanguigno, piglio feroce, e voce aspra e minacciosa:
«Io sono sacra, sono regina qui non meno che sulla sublime vetta delle alpi e negli spazii immensi del firmamento; tu taci e adorami!»
La gazza sorpresa e un tantino sbigottita dal fiero aspetto quasi piegò la fronte a riverenza e sudditanza; se non che ravvedutasi opportunatamente, forse per la vista delle sbarre di ferro che formavano carcere all’aquila, poté risponderle con sicura dignità, come male ora le si addicesse, captiva e schiava altrui, e in più strette pastoie che essa gazza non fosse, d’inalberarsi superba e pretendere onori convenienti appena a libero ed assoluto sovrano.
L’aquila ne strepitò e schizzò faville dagli occhi, sbatté il becco e brandì gli artigli formidabili; con poca fortuna davvero e con fallace intento, perché la compagna ne sorrise e non se ne mostrò punto conturbata.
«Or bene, suddita ribelle, vorrai levarti a tale arroganza da sprezzare l’autorità mia eccelsa, mentre hai pur dinnanzi sì manifeste dimostrazioni del rispetto**** e della venerazione in cui mi tengono gli uomini e gli iddii? L’aquile rappresentano i vasti e gloriosi imperi; raccolgono intorno a sé eserciti poderosi e trionfanti, e ministrano le folgori al nume dei numi.»
La gazza placidamente le fece in allora notare che da qualche secolo le cose mutarono, anzi tale mutazione straordinaria esser avvenuta che, sebbene***** le aquile rimangano a simbolo di forza e d’ingegno, per consuetudine del passato e per l’altezza del volo a cui si librano, nondimeno nelle cose sacre, altri animali le sottentrarono; ed ora sono bianche colombe scendenti dal cielo, annunziatrici di pace divina, ora agnelli di candida lana, in atto pacifico accosciati vicino al solerte e benefico pastore che li protegge, o soli e circondati di aureola e che significano innocenza, umiltà, mansuetudine e rassegnazione.
L’aquila si morse la lingua dal dispetto della petulante erudizione della gazza e, pervicace****** nelle sue idee, rispose beffardamente******* che né gli uomini né i celesti non avrebbero mai scelto creature timide e vili ad emblema delle virtù maggiori, né concessa preferenza su di lei a coloro che dessa poteva a piacer suo afferrare, sbranare e mangiarsi, senza che osassero rivoltarsele contro né quasi muovere lamento.
«E la vittima per l’appunto, riprese la gazza********, fu collocata sugli altari, e rovesciato a terra l’idolo dell’assassino, perché parve più bello, più santo, più venerevole del gagliardo e truculento oppressore, colui il quale patisce strazio immeritevolmente********* e, quando è inutile la resistenza, sostiene imperterrito il supplizio senza gemiti e querele, superando colla vigorosa volontà la sua debile natura che trarrebbelo a grida e lamenti, onde soffre e spira tacendo.»
«Dunque, sclamò l’aquila con voce rabbiosa, dunque mentiscono là quelle dipinture, quelle corone…**********»
«Ti riconforta che non mentiscono affatto – ripigliò l’altra tra l’amaro e l’ironico, – poiché tra coloro medesimi che incensano la colomba e l’agnello non pochi si prostrano anche dinnanzi a te; tu sei sempre la loro prediletta, e da te e dalle opere tue si consultano per indirizzo alle proprie. Tu, la volpe, la iena, la scimmia, la pecora, il papagallo e simili*********** ricevete culto quotidiano, né credo che alle vostre deità il mondo voglia così presto fare profanazione.»
* Nell’originale, «smarrito, e quantunque».
** Nell’originale, qui è presente una virgola..
*** Nell’originale, qui non è presente una virgola.
**** Nell’originale, qui è presente una virgola.
***** Nell’originale, «avvenuta, che sebbene».
****** Nell’originale, «gazza, e pervicace».
******* Nell’originale, qui sono presenti i due punti.
******** Nell’originale, «Gazza».
********* Nell’originale, qui è presente una virgola.
********** Nell’originale, qui sono presenti cinque puntini.
*********** Nell’originale, qui è presente una virgola.