CELEBRI VIGNOLESI

Indice



L’astronomo ed il sole



Uno dei più illustri astronomi del nostro secolo, non saprei se italiano o straniero, soleva durante i giorni sereni dirigere il suo telescopio all’osservazione del sole; i cui raggi, entrando nello strumento, e raccolti e disposti dal giuoco mirabilmente artificioso di lenti e di specchi, ne riverberavano una chiara imaginetta. Il grand’astro, che ha la vista tanto lunga ed acuta per quanto spazia lontanamente colla sua luce, fissò a caso l’attenzione al cannocchiale appuntatogli contro; e, fattosi a considerare con insolita curiosità i moti di chi ne teneva il governo, si accorse in breve, come quel remoto e piccolissimo coserello che riconobbe per un uomo si fosse proposto di scrutarlo da tutti i lati, notarne le apparenze, di qui scendere a congetturare di qual natura sia, e procedere innanzi fino a indovinarla, a riconoscerla al giusto. Se ne fece beffe, non meno che noi ci rideremmo di un moscherino il quale postosi gravemente dinnanzi ad un elefante si arrogasse la pretesa di misurarlo a passi in tre minuti di tempo, e di porre i confronti tra la grossezza del suo corpo e la validità delle sue forze, con quelle del gigantesco animale. Neppure gli bastò di sbeffarlo tra sé e sé, che volle di soprammercato canzonarlo palesemente; trovando qualche segno o guisa da esprimergli di qual compassione solenne fosse compreso per i vani sforzi onde il tapinello seguitava indefesso ad affaticarsi nella impresa incominciata.
L’astronomo, che per quanto avesse fantasticato di cose strane, mai sarebbesi pensato di quella bizzarria del sole, non poteva trovare ragione dello straordinario tremolìo che si mostrò nella luce raccolta del suo telescopio; per cui non vedeva più un disco del solito aspetto, sibbene ogni sorte di figure in cerchio, in istriscie, in ghirigori, tramutantesi e balzellanti, da somigliare a que’tratti che per gioco fanno i fanciulli nell’aria con tizzo acceso in mano, quando lo agitano in aria rapidamente, dimenandolo per più versi. Stupefatto mirava il prodigio, allorché le figure pigliarono sembianza di lettere maiuscole, le quali colte nella memoria di mano in mano che si formavano, ed accozzato insieme, diedero un significato di perfetto discorso.
«Che pensi tu di elaborare o marmocchino, dal tuo lungo maturarti dinnanzi a’miei raggi? Oh bel sugo di moscatello che ne ritrarrai!»
«Ti studio!» rispose arditamente l’astronomo con voce forte quanto potè.
«La tua non è audacia da pigliare a gabbo! Mi esplorasti ben tutto, a palmo a palmo nell’emisfero che ti offro alla vista? Misurasti la profondità delle voragini in cui mi apro? Penetrasti nei gorghi della mia materia ìgnita e liquefatta? E del mio folgore, del fuoco ond’ardo, ne sai quanto ti basti per averne riconosciuta la forza?»
«Più che ti credi! So quanto misuri in diametro; quanto tu sia cocente, e quanto splendido nell’atmosfera luminosa che t’inviluppa. Noto le tue macchie, ne investigo la natura e me ne do spiegazione; mi certificai che nel tuo interno sei oscuro, non infiammato come al di fuori, e faccio congetture se possibile sia che creature viventi ti possano abitare o no.»
«E qual Iddio ti rivelò questi particolari dell’essere mio?»
«Ora te lo dirò; frattanto attendi ancora un tantino ad ascoltarmi. So che tu non sei centro dell’universo, e neppure centro ultimo a te medesimo. In quel modo che la terra nostra si aggira tuo pianeta intorno a te, tu ugualmente, pianeta di altro sole, cammini a corteare altri, teco trasportando l’intero tuo satellizio. L’Iddio che mi narrò questi fatti, ed altro che taccio per brevità, della tua vita, è l’intelligenza della quale il Creatore privilegiò l’uomo: il quale ti guardò, speculò nei campi interminabili in cui tu peregrini, osservò, calcolò, dedusse dai calcoli, e fece se medesimo istrutto di quanto altri non ebbegli mai reso manifesto. Imperocchè l’intelligenza dell’uomo è maggiore di te, o sole!»
«Maggiore di me! Atomo di polvere! e ardisci di paragonarti con me?»
«Deh ti acqueta, né corruscare di tanto sdegno? Sei mole immensa di materia, chi potria negartelo? Anzi quand’io ti considero mi sbigottisco, mi spavento, e non posso comprendere in mia mente la spropositata vastità della tua sfera. Ma tu, conterminato dalla tua sostanza ardente e della tua luce fin dove si espande, non puoi allargarti pipù oltre; mentre l’intelletto umano spazia sconfinatamente, vagheggia e sottopone a numeri l’infinto, e quasi coll’infinito stesso si confonde. Che importa a noi aver l’animo racchiuso in un atomo, se di quinci la mente irradia più lontanamente di te, e degli astri tutti? Che è l’universo intiero dei globi simili a te, a petto di un solo pensiero nostro?»
E il sole impallidì alla risposta del figliuolo di Prometeo, e chiamò un pietoso vento, che spingendogli dinnanzi alcune nuvole dense e nereggianti, lo togliesse dal continuare innanzi un colloquio, da cui non sarebbe uscito coll’onore che si convenisse a personaggio di sì alta considerazione.




Indice