Un eccelso e degnissimo personaggio chiamato il lupo*, la cui fama suona rispettata dappertutto ed in ispecie nei tuguri dei pastori, faceva una sua passeggiata lungo una strada per la quale fu poc’anzi una grossa mandria di pecore. Incedeva con aspetto di maestà, fiutando ed osservando attentamente all’intorno, non sapendosi bene se allo scopo di acquistare conoscenza del luogo, ovvero per non ismarrire una traccia. Trovò a caso in mezzo al cammino una ciocca di lana che ravvisò per essere stata divelta dal vivo dosso di una pecora, probabilmente da qualche mascalzone di cane; la raccolse con premura, e pensando allo strazio onde costui tormentò quella timida ed innocente creatura, addentandola senza fallo e strascinandosela dietro fino al branco, sentì ad arricciare la pelle ed a gelare il sangue. E gridò allora con alto e generoso sdegno: chiunque sia stato il villano cavaliero od il bestiale scherano che abusando della sua forza abbia arrecato oltraggio alla misera, avrà da rendermene strettissimo conto.
Infiammato l’animo di questo nobilissimo sentimento affrettò il suo corso, finché venne a breve distanza dal campo di un pastore dove egli credette che certamente avrebbe trovato il manigoldo su cui prendere memorabile vendetta.
Fermossi ad un dato punto, depose la ciocca in terra, e fattosi ad urlare chiamò chiunque del luogo volesse presentarsi a parlamento con lui. Il grido della fiera scosse tutti nella pacifica dimora: il pastore si armò ed uscì arditamente dalla capanna a vigilare; le pecore si strinsero insieme invase dal terrore e tremando da fibra a fibra; i cani tesero le orecchie, arruffarono il pelo, digrignarono i denti, e con latrati rumorosi si slanciarono contro il pericolo minacciato. Arrivarono in fretta e pronti a battaglia dinnanzi al nemico; il quale fermo e con voce ringhiosa cominciò a parlare loro così:
«Quello qualunque di voi il quale osò di mettere i denti sopra un’innocua pecorella, e strapparne questa ciocca di lana, è dichiarato da me vile assassino, ed io lo sfido a tenzone singolare, confidando nel cielo, nella buona causa, e nelle mie forze, di provargli il suo tradimento.»
L’attitudine spaventosa e feroce del Lupo non isgomentò un cane giovanotto, destro e vigoroso dal mostrarsi innanzi frammezzo agli altri più stupefatti che sbigottiti del nuovo costume onde il Lupo si vantava campione per una pecora; il qual cane,* con un fare tra l’ironico ed il serio, gli rispose nella seguente maniera:
«Oh illustre cavaliero, eccomi a darti ragione di quello che avvenne, e per cui il grande animo tuo giustamente s’indegnò. Io fui l’autore dello strazio contro il quale tu chiami vendetta, e con questi miei proprii denti svelsi alcuni peli da un agnello pervicace, che sbrancato non volea ritornare alla mandria, e sarebbe rimasto tua preda sicura. Circa poi a raccogliere il guanto che mi getti, t’inganneresti a riputarmi gonzo abbastanza per cadere nella trappola; so quello che vuoi e mi rido di te. Affrontandoti mattamente da solo, mi avventurerei ad una zuffa troppo inuguale, e da cui a buon mercato, come assai più gagliardo, tu ne usciresti vincitore mentr’io sarei biasimato non di arrischievole, ma di temerario e forsennato. Pure guarda dietro a me; io ed i miei compagni siamo solidali nella custodia della mandria, e qui uniti ti attendiamo a restituirti la chiesta ragione. Se ti accende pensiero di combattere per la misera da me maltrattata, ed hai fiducia nel cielo, nella buona causa e nelle tue forze, orsù spicca il salto, dà il primo morso, e vedremo chi ne resterà più insanguinato.»
Pare che questo discorso cadesse come acqua gelata a smorzare le ire del lupo, perché uditolo se ne ritornò quatto quatto, e riprese la via da un’altra parte.
* Nell’originale, è presente la forma «Lupo», e così nelle successive due occorrenze del testo. Ciononostante, abbiamo deciso di scrivere dappertutto il termine con la minuscola, come nella quarta occorrenza.
** Nell’originale, questa virgola è assente.