In un ameno laghetto, ombreggiato di salici piangenti, teneva sua dimora un cigno; e quivi pure costumava una cinciarella a caccia d’insettuzzi ed a godere la frescura del luogo. Per la lunga consuetudine di vedersi, nacque domestichezza tra i due uccelli; onde in ogni giorno tenevano conversazione insieme circa le notizie correnti e altre** cose che fossero di qualche interesse per loro.
La cinciarella, di umore acre e di lingua ardita, soleva scoccare di quando in quando motti ed arguzie mordaci, a cui il cigno non rispondeva mai, e di cui non pareva si offendesse: credo per degnazione di sé. Dal quale silenzio l’altra o pigliasse coraggio, o piuttosto giocasse a sicurtà per la piccolezza propria, o non sembrasse a se medesima una gran cosa per l’acuto zirlo con cui stuzzica l’aria, fatto sta che crebbe sempre più di petulanza, fino al punto da annoiare prodigiosamente il cigno, il quale uscito da’ gangheri non si restrinse più nel propostosi contegno.
Un dì, la cinciarella dopo un suo sfringuellare presuntuoso e protratto al di là del dovere, si volse al compagno e così gli parlò:
«Davvero che allorquando ti veggo in mezzo alle limpide acque azzurrine, scorrere nuotando gentilmente, io prendo grande ammirazione di te. Sei bello, bellissimo per le candide piume, il lungo e flessuoso corpo, la vigorosa statura, l’altiero portamento, il muovere snello ed aggraziato. Ma non cantasti mai; anzi ti si crederebbe mutolo, se per avventura non ti prorompesse qualche volta dalla gola una voce che discorda pur troppo colle altre tue pregievoli qualità. Ma veh! cosa curiosa! Non ostante che tu gracchi sì sgraziatamente, i poeti finsero di te un canto dolcissimo e t’incoronarono al di sopra dell’usignolo e del passero solingo: narrarono essere il lamento della tua agonia di tale soavità da morirne chi l’ascolta. Che solenni favoleggiatori non furono i poeti! Non pare anche a te?»
Il cigno, offeso a diritto dall’ironia del discorso, stette per rimbeccarlo opportunamente. Voleva avvertire la cinciarella come ben chiara si comprendesse la cagione dell’odio che dessa portava ai poeti, i quali non ne celebrarono mai i canti; nondimeno tacque di ciò, ed in cambio le rispose:
«Tu, al biancheggiare dell’alba, al rosseggiare dell’aurora udisti mai dall’oriente una musica dilettevole, che cresce e risuona in maestosa armonia quando il sole si affaccia alla terra? E quando nella oscurità della notte, brillano le stelle e splende la luna, ti toccò mai dall’alto un concento pio e temperato di accordi leggiadri, che vanno al cuore e lo innamorano delle cose innocenti e gentili? Colla luce che piove da ciascun astro, ti scesero di lassù le dolcissime note che levano in estasi l’anima commossa, e la rapiscono nello spazio immenso, e le dischiudono gli arcani dell’infinito? Oh tu misera se giammai non provasti il sentimento, la letizia ineffabile dell’infinito!»
«Tutto questo mi è nuovo» soggiunse stupefatto il piccolo uccello.
«Nel furore della tempesta, nello scatenarsi dei turbini, nello scrosciare delle folgori non ti rimbombò, frammezzo al tremendo frastuono, uno squillare gagliardo ed animoso per cui fremono le fibre, vibrano i nervi, e l’impulso ci sprona alle opere forti, audaci e magnanime? Quello squillare è simile al grido di guerra che ci chiama alla battaglia giusta e santa, per noi, le care spose, i teneri figliuoli, e per il nido devastato ed occupato dal predatore rapace. Neppure dai fiori delle piante su cui ti posi di frequente ti giunse mai all’orecchio una melodia amabilissima, che quei prediletti della primavera vanno modulando, mentre diffondono all’intorno le loro delicate fragranze?»
«Non mai, non mai!»
«Allora sei da compatire se non ti arrivò nemmanco l’onda ultima del canto mio. Il cieco dell’antica Grecia, e l’esule di Fiorenza, e poch’altri furono pregiati del raro privilegio, e perciò la moltitudine, nell’ignoranza propria, loro discrede e ride: tu ti accompagni con essa. Se fiamma di genio ti accendesse per un attimo la mente, l’orizzonte che ti circonda ti si aprirebbe dinnanzi senza limiti; lo sguardo tuo penetrerebbe a profondo nei misteri del creato; i tuoi sensi sarebbero trasnaturati; il tempo ti scomparirebbe dalla vista; ti balenerebbe l’eterno. In allora tu non accuseresti più di finzione i poeti, e ti beeresti in un mondo diverso e remoto, che non è il tuo né quello di molti altri.»
Prima di giudicare, considera se hai l’ingegno ed il sapere a tanto!
* Nell’originale, figura qui tra parentesi tonde il numero 1, il quale rimanda al testo della nota che apre Note, l’elenco delle note, verosimilmente tutte di pugno dell’Autore stesso, inserito subito dopo la fine dell’ultima favola della raccolta e subito prima dell’Indice. Ecco il testo di tale nota: «Cinciarella. Piccolo uccello, di umore acre, caparbio, litigioso, e che si azzufferebbe con tutti.»
** Nell’originale, il refuso «ad altre».