La civetta dai tempi antichi in poi tenne cattedra per ammaestrare l’ignoranza degli altri animali, dissipare le superstizioni, sbandire gli errori e far conoscere le verità. Non sempre si fermò in un paese solo, e mutò stanza da luogo a luogo a norma degli umori delle popolazioni. Due secoli fa silogizzava, con grande applauso e concorso innumerabile di persone, in Inghilterra, ove sostenne trionfalmente lunghe ed accanite dispute e propagò le sue dottrine.
Per fornire un saggio dell’insegnamento di lei, riporteremo alcuni squarci di una lezione, che fu delle più famose, essendo accaduto, che nel mezzo taluno degli ascoltanti la interrompesse, e si appiccasse una grave questione, donde il principio di scissure tra i seguaci di lei che si divisero in più sette nemiche.
«Non senza alta ragione, diceva essa, i re scelsero l’aquila ad emblema di forza e di ardire, gli amanti preferirono la colomba a rappresentare la voluttà, e me elesse la sapienza per simbolo dell’essere onniveggente ed ognisciente. Per me giorno e notte sono tutt’uno; io ficco gli sguardi scrutatori nel denso delle tenebre e discerno; li sprofondo ne’ più reconditi abissi e ne svelo gli arcani; veggo le cose nella loro propria e vera forma; sicché, oh quante volte mi rido delle false imaginazioni di coloro che rimangono ciechi dacché il sole si nascose e si creano fantasimi durante la notte che prendono poi come cose sussistenti e reali. La vista, la sola vista perpetua della quale fui privilegiata ha virtù di manifestare i segreti di natura, di coglierli nel loro apparire, fosse pure nel più buio delle oscurità, e di ricondurli a galla, in piena evidenza: ed io generosa, non pretendendo di valermi a mio solo beneficio di tanto dono, vi narro ciò che scoprissi e riconoscessi; dove si trova lampante il vero, od in sembianza di esso il falso. Proclamo ora e per sempre, che l’unica facoltà visiva può essere criterio alla cognizione certa e perfetta, e che rifiutandola per duce si cade inevitabilmente nello sdrucciolo interminabile degli errori.»
Un cagnolino che erasi rimasto silenzioso ad ascoltare la diceria, non poté contenersi a questo punto da non interrompere la professora, a cui indirizzò alcune domande:
«Tu affermi che dagli occhi solamente ricevesi la cognizione, e che affine di giudicare si deve partire da quelle impressioni degli oggetti che per il mezzo della pupilla passano tramandate alla mente; in conseguenza di ciò dovremmo tenere colle apparenze della vista che il sole giri intorno alla terra e questa stia ferma perpetuamente.»
«E pensi il contrario? rispose la civetta con sogghigno di sprezzante compassione: or via, sarà dunque che il mondo cammini caracollando intorno all’astro maggiore, e questi rimanga immobile ad osservarne il ballo a tondo?»
«Nulla di più vero, soggiunse il cane con accento severo e tranquillo; il mio padrone, il signor Newton, presso il quale convivo da più anni, trovò co’ suoi calcoli di sublime matematica, vero verissimo quanto era stato supposto ed avvisato da altri grand’uomini nati prima di lui; e so dirti che i più cospicui scienziati della stirpe umana, credon così, indottivi appunto dalla stringente ragione dei numeri e dalle osservazioni dei fenomeni celesti.»**
La civetta indispettita alla replica dell’avversario proruppe in un’invettiva stizzosa contro chi osava di farle appunti; negò le rivelazioni derivanti dagli uomini i quali per avviso di lei erano gli animali di mezza vista, incapaci di chiaro discernimento; ed aggiunse in ultimo, che ella perfino dubitava se il sole fosse un disco piucché un quadrato, non avendo potuto accertarsene giammai a cagione dell’incomodo bagliore che l’offendeva ogni qual volta aveva tentato di affisarlo.
Di presente, chi si accostò a sostenere le parti della civetta; chi accerchiò e si strinse intorno al cane; chi si raccolse da banda a formare una scuola propria co’ gufi, i gatti, i pipistrelli ed altre bestie di vista notturna.
La civetta in duecent’anni non si convertì tuttavia; e impreca contro di chi si ostina a ricevere il criterio da altre fonti tranne che dai soli organi visivi, pretende che gli altri sensi valgano a nulla, e giura particolarmente essere immobile il nostro globo e circolante il sole. Passeranno altri secoli, e sarà lo stesso. Per quanto gagliardi si accamperanno gli argomenti a persuaderla, che esseri imperfetti come gli animali deggiono ricevere insegnamento da quelli che sortirono più ampia ed alta l’intelligenza, non vi si piegherà mai.
E nel nome de’ suoi occhi darà materie di fede a sé, la pretenderà dagli altri, e durerà impenitente.
* Qui e nell’incipit della favola, nell’originale viene preferita la forma «Civetta»; nel resto della favola e pure nell’Indice finale del volumetto, invece, si trova «civetta», forma che abbiamo deciso di utilizzare dappertutto, anche perché nelle altre favole della raccolta il nome delle diverse specie animali è sempre scritto con la minuscola.
** Nell’originale, il punto risulta collocato fuori dei caporali, mentre alla fine delle altre citazioni della presente favola (e, in generale, di tutte le favole della raccolta) si trova all’interno degli stessi. Per questa ragione, qui abbiamo preferito spostare il punto dopo i caporali di chiusura.