Un campagnolo colse alle reti una quaglia, e poiché ebbela presa in mano l’accecò tosto, la introdusse in una gabbia, e le fornì grano in abbondanza acciò non le mancasse conforto di cibo a sazietà.
L’uccello era giovinetto, onde in breve dimenticò la grave ed irreparabile sciagura della vista rapitagli, e della perduta libertà; e, credendo che la copia dell’alimento fosse il colmo di ogni bene, vi si accontentò, e passava i giorni a sfringuellare gaiamente ed a ripetere il suo canto nativo.
Un dì il padrone vennele intorno, e dissele ad un di presso le seguenti cose:
«Ora che la stagione è propizia, io ti trasporterò all’aperta campagna, dove tu potrai goderne tutte le delizie senza tuo danno e pericolo. Priva della vista non avresti modo da te di procacciarti da vivere, né altri tranne di me* penserebbe ad offerirtene a norma de’ tuoi bisogni, ti smarriresti facilmente, in breve cadresti preda degli avoltoi o di altro animale tuo nemico, il quale delle carni tue delicate darebbe pasto all’ingorda sua fame. La gabbia dove io ti collocai ti custodirà dalle insidie e dagli assalimenti, perché è forte abbastanza da non essere rotta; e poi,** qualora ti sentissi aggredita, innalza le strida ed io ti accorrerò in difesa.»
La quaglia udendo le amorevoli parole fu piena di tenera riconoscenza verso il suo benefattore, parendole che non avrebbe mai trovato maggiore ventura che di esserne in tutela e di sperimentarne la paterna sollecitudine.
E,*** in sentimento di gratitudine, dessa cantava le intere ore nella sua prigione, pigliandone anche nuovo diletto, perché udì a rispondere in coro altri uccelli simili a lei, dall’intorno, che reputò com’essa vigilati, nutriti, e colà posti dal padrone a gioire dell’aria libera e pura.
Poco stante si accorse che un altro ospite fu messo a dimora della sua gabbia, ed essere un’altra quaglia; di che provò grande allegrezza e si reputò all’apice della felicità, non avendo adesso più a temere quei tempi di noia molesta che derivano inevitabilmente del vivere solingo.
Come la prima nella casa, essa si fece incontro alla compagna, e la salutò con liete accoglienze, subito appiccando colloquio senza vane cerimonie, alla fratellevole.
«Dunque toccò anche a te la sorte di ripararti sotto la protezione e di affidarti alla benevolenza del mio ottimo signore? Meco condividerai adunque i beneficii dei quali è largo dispensatore per la nostra conservazione e salvezza, senza che egli ne ritragga utile alcuno? Oh fosti ben fortunata!»
«Fortunata? Sogni o deliri? Invidiabile fortuna davvero la mia, di essere stata privata or’ora della vista e incarcerata per sempre, posta qua per richiamo delle sgraziate consorelle che si lasceranno illudere dai nostri versi, e cadranno ne’ lacciuoli tesi contro di loro in questi luoghi pericolosi!»
«Ma che vai dicendo di lacciuoli ond’io non ti capisco! Comincieresti già ad essere ingrata, fino dai primi momenti a chi ti prodiga i suoi favori, avviluppando menzognere invenzioni per calunniarlo!»
«La bambina che sei! Egregiamente ti acconciarono fino dalla prima peluria, e ti tennero nella ignoranza di ogni cosa, se con istupido rimprovero mi rimbecchi. Non ti rissovvieni più e della luce del sole onde ne’ tuoi giorni infantili fosti illuminata, per il cui mezzo vedevi le magnificenze di natura; e dimenticasti il nido nativo, i dolci parenti, la cara ed inestimabile libertà de’ tuoi passi ed il conversare delle tue simili?»
Queste rivelazioni richiamarono alla mente della giovane quaglia ricordanze smarrite, o che talvolta erano balenate dinnanzi in confuso: stimolata da curiosità e da una pena indefinibile che le si svegliò in cuore, sollecitò la compagna a chiarirla un po’ meglio di ciò che le appariva oscuro; e l’altra le narrò per disteso come il campagnuolo avesse dovuto coglierla troppo da piccina perché se ne rammemorasse ancora, orbarla della vista, imprigionarla e pascerla lautamente, acciò vivesse in gaudio e cantasse frequentemente. Aggiunse, che avendola colui nascosta colla gabbia sotto il verde, le consorelle non si avvedevano dell’inganno, e udendone la voce correvano verso di lei, credendo che le chiamasse, mentre poi si abbattevano in certi ordigni di filo sì ingegnosamente disposti, che impacciatevisi in mezzo una volta non potevano più francarsene. In allora il campagnuolo usciva fuori da un nascondiglio, pigliavale tutte senza**** scampo di una, strangolavale spietatamente e davale alla cuciniera acciò gliene imbandisse un grasso convito.
La poverina, dopo avere ascoltato la trista istoria, ne rimase sì abbattuta, che non trovava il fiato da respirare; conobbe che involontariamente cagionò la morte a molte della sua schiatta e forse del suo sangue medesimo, che il supposto benefattore era in cambio l’assassino di lei e delle simili a lei, e proruppe disperata nel grido di «bisogna vendicarsi!»
«E in qual modo vendicarsi? dimandò l’altra. Qualsivoglia sforzo e proposito nostro tornerebbe inutile. Siamo in catene, nessuno può cavarcene, e reputo partito migliore non volersi infastidire troppo della necessità presente. Da mangiare ne abbiamo; gli occhi non si recuperano più; e,***** se altre s’impiglieranno nella rete in cui incappammo anche noi, non n’abbiamo colpa, perché l’inganno non è opera nostra, e noi siamo schiave costrette ad ubbidire chi c’incatena.»
La giovane quaglia innorridì alle ciniche parole della compagna, e procurò di muoverla più a degna risoluzione; ma fu invano, perché costei amava piuttosto di non prendersi fastidio del male altrui che di procacciare alcuno incommodo a sé.
Delle due, la prima cessò affatto dal solito canto, e la seconda, affine di acquistare grazia dal padrone, diedesi a strillare con quanto di gola potesse, e forse troppo sguaiatamente perché le altre quaglie non rispondevanle all’invito che in numero scarso. Il campagnuolo,****** trovando diminuita la caccia, ed avvedutosi che la più addestrata delle due si era incocciata nel silenzio, temette ciò non fosse per causa di persecuzioni apportatele dalla nuova; onde trasse costei di gabbia, e spacciatamente la mandò alla cucina. Se non che il rimedio non avendo giovato, fece altre prove; mutò la qualità di cibo alla superstite, le diede varie compagne, la cangiò di gabbia, senza mai riuscire all’effetto desiderato. Frattanto il melanconico uccello, dimagrato, spennato, ammutolito, senza coraggio sufficiente per rifiutare un nutrimento che rendevagli ribrezzo, e lasciarsi sfinire d’inedia; deliberato nonostante di sostenere la morte piuttosto che contribuire al tradimento di una sola delle rimanenti consorelle, tacque per sempre; e fu in allora che il padrone lo abbrancò stizzosamente un dì, e soffocogli in gola quel po’ di fiato che gli rimaneva per una stentata vita di brevi giorni ancora.
Finché operi il male inscientemente sei compatito; ma,******* qualora tu lo conosca, non ti è più lecito di seguitare, quand’anche ti minaccino di fronte gravi e lunghi patimenti, e la stessa dolorosa morte.
* Nell’originale, qui c’è una virgola.
** Questa virgola risulta assente nell’originale.
*** Questa virgola risulta assente nell’originale.
**** Nell’originale, «senza» è scritto due volte.
***** Questa virgola risulta assente nell’originale.
****** Questa virgola risulta assente nell’originale.
******* Questa virgola risulta assente nell’originale.