CELEBRI VIGNOLESI

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Il fanciullo e la candela stearica



Uno di que’ fanciulletti vispi ed arditelli, cui sembra di alzarsi parecchie spanne al di sopra della loro statura* allorquando compiono un piccolo attuccio senza che loro presti mano altra persona, una sera** volle accendersi da sé la candela di stearina con cui farsi lume per ispogliare gli abiti e coricarsi in letto. Prese una striscia di carta, la ravvolse in modo da comporne una specie di miccia, l’accese alla lucerna della cucina*** e frettoloso corse nella sua stanza ad appiccare il fuoco alla candela. La fiamma si apprese allo stoppino, dal cui apice partendo**** scese verso il basso, impallidendo assai, impicciolendosi e rannicchiandosi quasi a cogliere qualche cosa dalla bianca materia che le sottostà; ivi si trattenne un tantino, indi si risollevò rapidamente***** e tornò ad accogliersi verso la cima, vampeggiando poi splendida ed orgogliosa.
Il fanciullo,****** ch’era rimasto quasi in oscurità in quell’intervallo, provò un palpito al cuore allorché rivide la fiamma, che parevagli morente, risorgere sì bella, sì lucida, e diede in un oh di grande meraviglia, onde io crederei che in addietro non le fosse mai occorso di osservare il giocherello consueto che fanno tutte le falcole nel primo atto dell’accensione.
Né allora più pensando a levarsi le vestimenta si sedette a fronte della candela, considerandola fissamente cogli occhi******* e mulinando nel suo tenero cervellino da qual ragione fosse avvenuto il curioso fenomeno. E mentre stava intentissimo a quella disamina, interrogandone se medesimo, notò che la fiammella, avendo cessato dal suo tranquillo ascendere, per cui sembra che si muova e nondimeno rimanga immobile, si dimenava da un lato e dall’altro, e tremolando e guizzando in punta dava quasi sentimento di volergli parlare e spiegare a minuto le ragioni del fatto. Ma non uscendone dai moti replicati e diversi né una vociuzza, né altro suono, il fanciullo ne capiva nulla; per cui la fiamma cominciò a crepitare dispettosa, lanciando qua e là faville, simili a sprazzi di fuoco, e tormentandosi per un buon tratto in quella fatica, quasi per fargli comprendere qualche suo pensiero.
Il fanciullo non per questo intese meglio di prima, e piuttosto prese solazzo del fenomeno sì che la madre, entrando nella stanza, lo colse che menavane festa e ne rideva.
«Ridi, gli chiese, dell’assennato discorso che ti fece la candela?»
«La candela? E da quando in qua ebbe parola la candela?»
«Eppure, o amor mio, anche le candele posseggono un linguaggio proprio, col quale danno significanza dei loro intendimenti, che sfugge agli svagati, ma può comprendersi dai più riflessivi!»
«Ti burli di me, mamma? oh c’indovino: questa sera vuoi offerirmela da ingollare, perché domani in aria di trionfo tu mi possa dare del gonzo per il capo!»
«Non ischerzo e ti parlo del mio maggior senno che mi abbia. La candela col dimenare la fiamma coi guizzi, col crepitare ti diresse un discorso assennatissimo, zeppo di peregrine sentenze, e che vorrei tu avessi compreso da capo a fondo per suggellartelo ben fermo nella memoria. Io, che faceva capolino dall’uscio, senza che tu te ne avvedessi, l’udii tutto******** e te ne ripeterò alcuni squarci alla meglio: fanciullo, diceva adunque, sai perché discesi a basso smorta e malinconica non appena tu mi accendesti? perché mancavami in sulle prime l’alimento che mi fu porto dalla sostanza in cui vivo; ma, coll’atto di calare alla scaturigine********* e raccomandarmele, ricevetti in premio dell’umiltà mia la materia di cui ha d’uopo, e tosto me ne saziai, ripigliai vigore, risalii********** e continuo ad ardere prospera e lieta, non essendo più in penuria del necessario. Tu m’imita: quando un nobile, un generoso proposito ti nasce in animo, riccorri a Dio, lo prega che t’infonda virtù a fecondarlo, a nutricarlo, e vi ti fermi saldo al termine dei giorni tuoi. Sebbene io presentissimi che tu non mi avresti atteso, o non capite le cose di cui ti discorro, ciò non ostante volli avventurarmi a parlartene; e mi v’ingegnai per quanto posso, e cerco modo che la mia favella ti riesca intelligibile: ma tu senti da me non altro che un sussurro il quale ti è inesplicabile, ne ridi e te ne trastulli; io*********** non me ne sgomento************* e seguito innanzi colla remota speranza che un qualche dì te ne rammemori, ne interpreti il senso recondito a tuo benefizio. Deh che tu possa somigliarmi anche in questo! Che ogniqualvolta tu venga a cognizione del vero, ti abbi a sforzare di renderlo manifesto al mondo, quando pure avessi dubbio o certezza di seminare al vento, né esservi una sola orecchia pronta a riceverlo, nessuna mente disposta a comprenderlo. La tua voce sarà come onda di suono in certe grotte, che i più vicini non sentono e che, all’angolo************** opposto, echeggia distintamente ai più lontani.»
Il fanciullo stette in forse se la candela avessegli indirizzato daddovero ammonimenti di tale saviezza da disgradarne il precettore; indi, dopo breve considerare, si riscosse con sorriso e con isguardo pieni di fina ed allegra malizietta, e rispose alla madre: sii tu, sia la candela che mi ammaestrino, non cale; io vorrei non dimenticare mai più la ricevuta lezioncina.




* Nell’originale, qui è presente una virgola.
** Nell’originale, qui è presente una virgola.
*** Nell’originale, qui è presente una virgola.
**** Nell’originale, qui è presente una virgola.
***** Nell’originale, qui è presente una virgola.
****** Nell’originale, qui non è presente una virgola.
******* Nell’originale, qui è presente una virgola.
******** Nell’originale, qui è presente una virgola.
********* Nell’originale, qui è presente una virgola.
********** Nell’originale, qui è presente una virgola.
*********** Nell’originale, qui è presente una virgola.
************ Nell’originale, qui è presente una virgola.
************* Nell’originale, qui è presente una virgola.
************** Nell’originale, «sentono, e che all’angolo».




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