CELEBRI VIGNOLESI

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La fidanzata



Una leggiadra e castissima fanciulla arrivò finalmente alla vigilia de’ suoi sponsali, statile lungamente contrastati da un perverso tutore, il quale faceva indegnamente suo utile delle splendide fortune di lei. Oh di che dolce e piena letizia le sorrise l’anima dopo la certezza che nel giorno vegnente sarebbe cessata la sua dura servitù! Oh io sarò domani congiunta con nodo indissolubile al mio diletto; e nessuno sorgerà più ad inventare nuovi impedimenti che mi tolgano di possederlo! Beata me nell’avvenire giocondo che mi si dischiude innanzi dopo le molte sofferenze ed i frequenti sospiri. Un crudele malore, da cui più volte fu indietro assalita ma non vinta, le sopravvenne improvviso nella sera medesima degli sponsali, e la colse sì fiero, sì maligno che cadde prima di sensi e nelle vere sembianze di morta.
Fu deposta sul letto fredda, senza fiato, senza battiti del cuore, e il medico dopo che l’ebbe visitata conchiuse, la vita esserne spenta, e ne dispongano i funerali. Ahi! sventurata giovinetta quale mai spietato nemico avrebbeti augurato ciò che ti accadde, di mutare il principio di una nuova vita e felice nel sonno eterno degli estinti.
Il tutore finse dolore, e godette in cuor suo, mandò in fretta a provvedere per il mortorio, ed ala chiamata venne sollecito il becchino portando il panno di velluto nero, ricamato di giallo, ad intrecciature di tibie e di stinchi, e teschi ai quattro canti.
Chiunque entrasse nella stanza funebre scoppiava in pianto inconsolabile alla vista del pallido volto della misera, recisa inopinatamente nel suo più bel fiore, con prossima al capo attaccata ancora la candida veste da nozze, su cui aveva trapunto di sua mano un ornamento di rose vivacissime tra freschissimo fogliame; mentre ai piedi erale collocato lo strato mortuario che dovevano coprire la bara. Le pietose donne, che in lagrime ed in singulti le prestavano gli estremi amorevoli uffici, dimandarono gli abiti con cui acconciarla per la sepoltura: loro fu recata una sopravvesta di saio nero ed una ghirlanda di rose gialle. Quando si accinsero ad abbigliarla, una di esse che guardavala a caso, rimbalzò e tremando gridò: donne non fate, non fate! Essa rifiuta l’abito di morta, e se la vorremmo costringere a indossarlo sorgerà fantasima spaventoso a ributtarci da se. Perché io la vidi, allorché ragionavamo di così vestirla, la vid’io allibire, e dal pallore gentile mutare al terreo, e stringere le labbra, e dare un guizzo, e restare poi irrigidita come statua di creta. Miratela e ve ne certificate!
Alle altre, dapprima incredule, sembrò vero lo strano annunzio, onde commosse di sbigottimento non sapevano a che decidersi; ma colei, condotta da un nuovo pensiero soggiunse: lo spirito della defunta è forse qui presente a salutare il bel corpo verginale da cui immaturamente si dipartiva, e si duole del lugubre apparato del quale vorremmo circondarla. Udite! proviamoci a metterle la veste nuziale lì fresca ancora, candida come neve, con vivacissime rose trapuntatevi dalle mani di lei, e verdissimo fogliame, ed io credo l’avremmo contenta. Né il nero né il giallo, né scheletri né altro segno funereo le si confanno, quantunque morta, perché più leggiadra più animata nell’aspetto di noi vive.
La proposta fu accolta subito, e non ebbero appena adorna la fanciulla, che il volto le si ridipinse di un bianco di latte con lontanamente una trasparenza d’incarnato; i labbri le si spianarono in atteggiamento di contentezza; le membra le si ammorbidirono, e parve in sembianza di persona stanca, spossata, che ivi giacesse in profondo sopore.
È viva è viva, sclamarono le donne con voce di esterrefatte; alle quali esclamazioni il desolato sposo che si divelleva i capelli e singhiozzava nella camera vicina, balzò in piedi proruppe dentro, e si buttò colla bocca sulla bocca della sua fidanzata, profondendole ardenti baci e bagnandola di caldissimo pianto.
Ella, in allora, mandò un lievissimo tiepido fatto dai labbri socchiusi, con un debole sospiro dal petto, indi alzò lentamente le palpebre e riconosciutasi e ravvisato il suo diletto, sorrise di blanda soavità, con atto sì dolce e pio, che parve gli dicesse: torno per te dai regni beati.
Il panno nero ricamato di giallo fu tolto tostamente di colà e portato al tutore acciò se ne ammanti qualora la rabbia lo soffochi; e poco mancò non succedesse il caso. Di lei non potrebbesi giurare su fu sveglia da letale assopimento o non risorgesse da vera morte. Forse le ritornò l’anima per volere di quel Dio che richiama dalla tomba i sepolti quando gli piace, a trionfo dei vilipesi e a disperazioni dei malvagi.

Voi che soffrite per la giustizia non diffidate mai; che il vostro vendicatore può revocare di sotterra i cadaveri.




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