CELEBRI VIGNOLESI

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Una giostra singolare



Al capo di tribù degli usignuoli fu portato un cartello di sfida da parte del re degli allocchi, in cui si contenevano le parole seguenti: poiché tu menasti vanto dinnanzi a persone onorate di potere vittoriosamente col tuo popolo sostenere contro le mie genti una giostra al canto; io, maravigliato ed offeso a gran ragione della tua insolente audacia, ti getto il guanto* e t’invito a designare loco ed ora per il provocato certame: e se rifiuti dichiaro fino da questo momento che mentisti per la gola e meriti di essere sfregiato come villano, petulante** e vil principe, e meritano con te di patire lo sfregio anche le turbe che da te dipendono.
L’usignuolo rimase stupefatto dalla strana lettura di quella pergamena, dacché non sognò giammai di scendere a tenzone di trilli e di gorgheggi colla ululante e stridente genìa di quegli uccellacci; però si strinse nelle spalle*** e mandò a rispondere: di nulla aver detto di somigliante, e che sua maestà si persuada essere una invenzione maligna o sciocca di qualche ribaldo o scimunito, forse col malo intendimento o di seminare zizzania tra nazione e nazione, ovvero di cavarne argomento di riso e di beffa.
Il serenissimo allocco non accettò per buona la dichiarazione fattagli rendere dall’usignuolo, cui inviò un nuovo ambasciatore, con nuove lagnanze, rimproverandolo di avere tentato di spargere cattiva fama di lui e de’ suoi, come di cantori sgraziati e perversi, e di metterli in deriso nella intera uccellina famiglia, come d’ignoranti e di vanitosi nell’arte musicale; minacciandolo che,**** se fosse mancato all’arringo, avrebbero tutti gli usignuoli del mondo pagato il fio della vergognosa loro pusillanimità***** e delle calunnie propalate in odio degli allocchi.
Il principe usignuolo, visto che non eragli via di uscire dall’inatteso e sgradevole intrigo, cedette alla forza delle cose, accettò la sfida, stabilì tempo e sito, e frattanto, nel timore d’insidie tramategli contro, di pericoli che gli fossero imminenti, provvide a stringere alleanza con diverse tribù di altri uccelli più gagliardi di rostro e di unghie che non i suoi sudditi, ed ebbe a confederati,****** con patto solenne e giuramento di difesa a morte, quasi tutti i granivori e gl’insettivori, non escluso taluno dei carnivori, e tra di essi picchi, gazze, storni, rigogoli, beccaccie, cornacchie, galli selvatici, passeri, verdoni ed altri molti.
Il primo di giugno, a sera, fu scelto per giorno della memorabile giostra; e il campo della lizza fu un piano coperto di arbusti e di macchie, incoronato all’ingiro di verdi collinette, sulle cui alture ergevansi torricelle, palazzotti, case campestri, dove gli allocchi coi loro seguaci si potessero anicchiare comodamente; mentre gli spettatori si sarebbero distribuiti sugli alberi circostanti, d’onde gli amici degli usignuoli avrebbero avuto modo di vegliare se si fossero macchinati disegni di tradimento, e piombare a difesa, al primo cenno di ordita congiura.
Nell’ora in cui il crepuscolo languidamente sviene dalla parte del tramonto, e succedegli la notte oscura e stellata col fiato leggiero di una gentile brezzolina, sorse pieno e giocondo il disco lunare, che diffondendo in sul primo apparire una luce obbliqua, debole e malinconica, parve salutasse i convenuti e li invitasse alle prove. In quel punto cessò, come a segnale convenuto, il pipillare ed il cinguettio della folla accorsa allo spettacolo; successe un silenzio solenne non turbato da un solo strido, né da un solo frombare di ala, e dal mezzo di quella taciturnità perfetta si levò ad un tratto, dalle schiere degli usignuoli, nascoste sotto le piante protettrici, il concento concorde ed unissono che si espanse e vibrò glorioso e risonante per l’ampia distesa della valle, ed eccheggiò dai dossi, dagli antri, dai burroni dei colli all’intorno, salendo al cielo in soavissimi, inimitabili e moltiplicati accenti di mille e mille lingue canore. Parola umana significare non saprebbe quali affetti si svegliassero in allora negli animi e nei cuori degli ascoltanti. Le note si svolsero con foga rapida ed abbondante, poggiando arditissime; maestrevoli accordi armonici s’intrecciarono con dolcissime cadenze di celeste melodia; e tale fu il rapimento******* che nessuno fiatava più, per timore non il debole sussurro del respiro turbasse il molle, delicato, scintillante ondulare di quell’oceano di suoni.
Oh! niuno dei lettori, niuno si auguri che fosse colà a quel magico incanto; ei n’andrebbe infelice per la vita intera, perché di null’altro avrebbe più brama; niuna cosa gli parrebbe più bella, piacevole, gradita, degna de’ sentimenti suoi, e trarrebbe mesti i giorni, sempre ripensandone la soave memoria, dolente che non gli si avesse a rinnovare mai più, per secoli.
Io ne fui testimone: dentro di me provai piena, ineffabile la voluttà di una delizia superna, e ne palpito, ne tremo ancora; venni in dolcezza di morire! La fantasia mi ridipinge di frequente la ricordanza di quella sera******** e sono anche là, seduto sopra una delle eminenze circonvicine ad inebbriarmi del canto dilettoso e sublime, per ricadere poi in abbattimento e desolazione quando ritorni in me********* e mi accorga che vaneggio in un fugace imaginare.
Non appena gli usignuoli tacquero********** che scoppiò da ogni lato una frenesia di applausi tale, ed un ripetere di evviva, che io mi pensai non avrebbero gli allocchi ardito più di sperimentarsi al pazzo cimento. Eppure non si tennero vinti: ed alla loro volta, con temerità miracolosa, diedero cominciamento al frastuono delle aspre strida e degli ululi lugubri con cui pretesero di cogliere la palma a virtù di canto nella gara provocata. Il funereo schiamazzare di quei dissennati mosse un brivido di gelo per le vene e fece aggricciare la pelle a tutti i presenti, che,*********** amareggiati, indispettiti, punti come di grande ingiuria sofferta, trassero alti fischi e forti grida di biasimo, e li costrinsero a cessare a mezzo.
La luna, salita già di alcuni gradi, splendeva più vivida di prima************ e illuminava la sfrontata disinvoltura dei fischiati, i quali, non isbigottiti gran fatto dal vitupero toccato, con arroganza di vittoriosi************ guardavano all’intorno, in attenzione di allori, ed a suscitare battaglia, alla quale parve che intendessero di fermo proposito. Se non che, capite le loro malvagie intenzioni, i più destri e vigorosi degli astanti si raccolsero rapidamente in istuolo numerosissimo,************* sì da opporre un fierissimo contrasto a qualsivoglia minaccia************** e da sostenere sicuri qualunque aggressione misleale.
In allora gli allocchi si consigliarono di ritirarsi dal campo della loro sconfitta cogli onori trionfali, ordinandosi in lunga schiera, messi a capo alcuni trombettatori, i quali intuonavano certe loro canzoni di gloria guerresca, onorando se medesimi del vanto di prodi e d’invincibili.
Alla dimane, ne partirono molti in forma di messaggieri, per i quattro venti, a spandersi tra i più lontani e a diffondere la notizia del trionfo conseguito nel certame combattuto contro gli usignuoli*************** e dell’immortale corona loro conceduta dai giudici della giostra.




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