In un mio viaggietto nelle Alpi mi fermai per istanchezza alla casa di un agiato possidente, il quale mi fu cortese di larga ospitalità come usavasi nei beati tempi antichi. Mentre in cucina mi si preparava un gustoso pranzetto di fresca carne di agnello, io mi assisi a godere l’aria montanina, fuori della porta, sopra un rialzo di terra verdeggiante di erba novella. Mi vidi un vecchio cane, poco lungi, sdraiato o non piuttosto aggomitolato sopra un mucchio di paglia, col muso posato, gli occhi semichiusi e l’aspetto di onesta creatura. Mi commosse a compassione, perché parvemi afflitto e sofferente; me gli accostai, e blandamente gli portai la mano al dosso [1] e mi feci a lisciargli il pelo in atto di accarezzamento. La povera bestia si accorse del mio sentimento benevolo, alzò lo sguardo, mandò un sospiro di animo sollevato, trasse la lingua per leccarmi con timida riconoscenza le mani; e poiché io me gli accostai di più [2] e gli dissi in voce pietosa: oh poverino, che hai da startene così mortificato? – egli, a rispondere alla mia domanda, si eresse sulle zampe davanti [3] e mostrò dai moti il desiderio che io piegassi un orecchio vicino a lui. Quando si vide assecondato, dimenò la coda in segno di allegrezza e, portatomi [4] prossimo il muso impiacevolito, cominciò un curioso guaiolamento, d’onde a poco a poco, senza sapere il come, venni ad intendere chiaramente quello che pur egli volle significare. Insomma, mi narrò per largo e per disteso la sua istoria, la quale compendierò in breve nel seguente racconto:
«Nacqui da poveri ed onorati genitori; da piccolo fui malaticcio, di corporatura meschina, onde, [5] se non fossero state le cure assidue, amorevolissime della madre, stimo che il padrone avrebbe creduto utile e pietoso di tuffarmi nel vicino torrente acciò mi vi annegassi. Ai primi stenti altri successero. Caddi [6] in signoria di un ricco fittaiuolo [7] tanto spilorcio nel dare quanto [8] abbondevole di ogni cosa; il quale prescelse me ai più robusti fratelli [9] affine di non essere mai obbligato di un obolo alla casa d’onde mi tolse. Volle di me fare un cane perfetto, la fenice, la gloria della mia razza, adoprando i mezzi seguenti: cibo scarso, non sufficiente a saziarmi, acciò mi abituassi per tempo alla virtù della sobrietà; vigilanza assidua, nella notte, intorno alla dimora per isgomento dei ladri e per tenere discosto qualche lupo, che soleva talvolta capitare nel verno, essendo il luogo a piede delle Alpi; velocità di gambe, squisitezza di odorato, mente sveglia ed accorta affine di accompagnarlo nella caccia durante il giorno, e seco lui guazzare correnti di acqua, arrampicarmi sugli erti dirupi, precipitarmi alla corsa da macchia a macchia, saltare da balza in balza per iscovare, perseguitare, afferrare la preda. Circa al riposo, non sognò mai di concedermene un’ora, [10] dacché considerava non apportare il mio riposo consolazione alla sua stanchezza, non rinvigorire a lui le forze; né mai egli si curò di quelle cose le quali non partorissero un utile o un diletto immediato a conto suo proprio. Dunque, in epilogo, mi toccò con quel padrone di fare sperimento quotidiano della fame [11] e spartire le 24 ore del giorno in altrettante di fatiche, tenendo il resto del dì per ricrearmi, solazzarmi, ristorarmi.
«Quella vita travagliosa, aspra, crudele, mi profondò in cupe [12] malinconie, che non potei sfogare con persona, e le quali perciò smaltii dentro di me, nell’intimo dell’anima, cui divennero pascolo amaro, quotidiano. Oh dura disciplina sotto quell’inumano! Chi avrebbela sostenuta senza perderci la vita? Nondimeno se mi paragono a quei cagnuoli, allevati frammezzo le delicature, l’uffizio dei quali è leccare le mani, saltare sulle ginocchia od in grembo dei padroni [13] e guaiolare smorfiosamente, io mi tengo fortunato e benedico alle durezze passate e presenti, e dico: meglio morire dal soverchio del lavoro [14] che sonnecchiare poltrendo.
«Un giorno il padrone prese la fuga, costrettovi dalla rivolta minacciosa de’ suoi opranti, i quali chiamavano vendetta dell’insopportabile gravame [15] e dei crudeli trattamenti. Io rimasi derelitto e, non [16] avendo chi mi porgesse un tozzo di pane, consigliatomi tra me, prescelsi di levarmi di là, non aspettare che tornasse colui, e collocarmi ai servigi di un buon possidente, non molto distante, che io sapeva di modi cordiali, generoso co’ servi fedeli, ed aveva più volte parlato in lode di me.
«Il bollimento de’ rivoltosi sedò [17] ed il fuggiasco fece ritorno in trionfo, accompagnato dal sattelizio de’ suoi fedeli, che menarono in nome suo lo scudiscio ed il flagello sui dossi dei pervicaci, e torturarono in più modi i vinti, i quali pagarono assai caro il filo del loro ardimento. Io fui cercato e non trovato; mi dichiararono disertore [18] e mi posero taglia al capo.
«Frattanto io mi era aggiustato alla meglio presso il novello signore, senza tuttavolta ritrarne il bene che ne sperava, perché non parve che il mio contegno di timida discretezza gli piacesse troppo: egli teneva in alta riputazione i cani chiassosi, vantatori, gradassi, ai quali profondeva le lodi e le carezze. Credo che pigliasse poco concetto del fatto mio, né mi avesse trovato di quella levatura che forse si era imaginato. Comunque [19] sia non mutai per questo, e continuai a vegliare solerte, ma quieto; a cercare il selvaggiume, ma senza fastoso apparato di lunghi abbaiamenti, di giravolte inutili, di slanci da parata; se scopriva un covo novello del lepre, ne snidava la preda senza poi accorrere tosto al padrone per elemosinare un elogio della mia sagacia.
«Altri cani, miei compagni, più destri di me, più abili nella mostra delle loro qualità, ne guadagnarono bocconi ghiotti [20] ed altre dolcezze: felicità che tocca a chi sa vendere la sua mercatanzia, spiegandola ad abbagliare la vista; mentre il modesto trafficante, il quale tiene le robe in iscansia, deve contentarsi di quel compiacimento onde si allieta in sé chiunque sa di qual merce provvisto abbia il suo fondaco, e come possa rispondere alle richieste, e come onoratamente adempiere a’ suoi doveri nei tempi delle scadenze.
«Non mi dolsi mai della trascuranza in cui mi lasciarono, [21] persuaso che la parola sarebbemi uscita dispettosa dalla bocca [22] e avrebbe indotto credenza non foss’io superbo, invidioso, famelico di favori. Una mattina, nondimeno, mi uscì involontariamente un lamento, che fu giusto, e nonostante che avrei voluto mi fosse rimasto fra denti, per cui non voglio ricordare neppure da qual cagione fosse mosso; anzi, [23] qualora io avessi saputo tacere, quanto ne sarei altero, quanto godrei nella mia coscienza! Una notte accadde che, mentre [24] origliava in guardia (i miei compagni dormivano profondamente) e passeggiava verso l’ovile, odo un muovere di passi, mi volgo a guardare dal lato d’onde lo sento [25] e veggomi a faccia a faccia un lupo, sitibondo di preda, con occhi di fuoco [26] e fauci aperte, e che m’ingiunge o di andarmene quatto senza strepiti o m’indice zuffa a morte. Non istetti in forse [27] neppure per un minimo: [28] mi avventai coraggioso; lottammo; egli primo cadde e mi fu sotto; allora non perdetti il vantaggio, superai le forze di mia natura, colsi il buon punto e lo strangolai. Della vittoria non godetti, perché ferito dolorosamente in più parti, colle carni squarciate, il sangue che ne zampillava, onde rimasi svigorito, appena respirante [29] e in dubbio se fossi per iscampare poi dallo strazio sofferto.
«All’aurora si accorsero dell’avvenuto, e tutti mi furono attorno ammirati della mia audacia e della riuscita avventurosa, e sbigottiti dalla vista della fiera uccisa, giacente al mio fianco. Mi compassionarono, mi lisciarono, mi trasportarono sopra uno strato morbido, mi curarono le piaghe con amore insolito; poscia, [30] quando fui risanato, il padrone si ricordò più del lupo morto che di me vivo, contro [31] il quale con sommo mio pericolo sostenni la battaglia terribile fino a ridurlo cadavere. Le cicatrici, la sparutezza, il camminare lento e di sghembo [32], frutto della lotta che sostenni non furono memoria di valore in mio vantaggio, sibbene stettero e stanno a rammentare come io sono oramai un cane mal concio, meno valido del tempo addietro, e fanno ripetere di frequente il consiglio [33] che mi menino con un sasso al collo a cercare la pace del sepolcro in qualche gorgo turbinoso. La vergogna impedì fino ad ora quest’atto di nera ingratitudine; ma la vergogna del padrone durerà sempre?»
Qui cessa la storia narrata del cane, la quale si assomiglia alla mia, onde quasi vado in sospetto talvolta se io sia lui, od esso me. Comunque sia, voi che leggeste, se avete cuore ben fatto, compatirete o al cane od al M. di S., il quale vi ringrazia che siate giunti fino al termine del suo FAVOLEGGIATORE.
[1] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[2] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[3] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[4] Nell’originale, «allegrezza, e portatomi».
[5] Nell’originale, qui non è presente una virgola.
[6] Nell’originale, «successero; caddi».
[7] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[8] Nell’originale, qui è presente una «e».
[9] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[10] Nell’originale, qui è presente un punto e virgola.
[11] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[12] Nell’originale, «cupi».
[13] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[14] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[15] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[16] Nell’originale, «derelitto, e non».
[17] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[18] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[19] Nell’originale, «imaginato; comunque».
[20] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[21] Nell’originale, qui è presente un punto e virgola.
[22] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[23] Nell’originale, qui non è presente una virgola.
[24] Nell’originale, «accadde, che mentre».
[25] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[26] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[27] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[28] Nell’originale, qui è presente un punto e virgola.
[29] Nell’originale, qui è presente una virgola.
[30] Nell’originale, qui non è presente una virgola.
[31] Nell’originale, non è presente «contro».
[32] Nell’originale, «sgembo».
[33] Nell’originale, qui è presente una virgola.