CELEBRI VIGNOLESI

Indice



La luce elettrica*



Non è a dire se rimanessero sbalorditi i lumicini attaccati alle quinte di un teatro, allorché videro improvvisamente nel mezzo del palco scenico sfolgorare una vivissima luce, che splendette festosa e sorridente ad illuminare l’ampia sala, gli affollati spettatori, i quali abbagliò a similitudine di stella che fosse discesa dal firmamento ed ita a collocarsi là, per manifestare più da vicino le sue immortali bellezze all’ammirazione dell’uomo. Quei tapini dalle fioche e rossigne fiammelle restarono ecclissati come se più non fossero; nessuno li ricordò, nessuno li compianse per la triste sorte loro toccata; e tutta l’assemblea, unanime, commossa batté le mani, glorificò con evviva replicati la loro fortunata rivale, che nell’ebbrezza del trionfo, nel vigore della fresca gioventù, rispose al saluto dei plaudenti col brillare giubilante e brioso de’ suoi raggi argentini. «Chi sei tu? le chiese rabbiosamente uno dei lumicini.»
«Non mi conosci, rispose ella con dolcezza, sono tua stretta parente.»
«Nostra parente! Ma da qual lato?»
«Veh non mi ravvisi alle fattezze! Sono figliuola di quell’elettrico che è germano del calore da cui hai nascimento ogniqualvolta si leva ad altissimo grado nel suo vigoroso vibrare.»
«Mi sei parente e mi offendi?»
«Come mai questo? E che commisi da reputarmi nemica tua, o sorella?»
«Cerchi col corruscare abbagliante di comperarti il suffragio degli uomini, e civetti coi volubili uccellini della moda per ispogliarmi de’ miei dominii, cacciarmi nei tuguri e nelle stalle, ed erigerti un trono di vanagloria nelle città, ivi dominando da regina e senza contrasto.»
«T’inganni! Mia dimora nativa sono le regioni del cielo, e se mi mostro quaggiù è per accondiscendere all’ingegno umano che mi chiama assiduo e pertinace, e vorrebbemi disposta ai bisogni della vita civile sulla terra. Nata prima dei secoli, lumeggiante per immensi spazii in forma di aurore boreali, o splendente a colonne di fuoco, o scintillante in baleni ed in folgori, non ho uopo di impicciolirmi alla meschinità di questa lumiera per appagare i curiosi i quali qui convennero, e dare loro a conoscere che mi sia. Ben saprai che soglio illuminare nelle regioni artiche mari vastissimi, isole grandi e grandi continenti, ed ivi sostengo le veci del sole allorquando si rimane colà nascosto per mesi interi, e perciò devi persuaderti se poco mi calga del modesto stato in cui ora mi vedi.»
«Superba! Tu menomi te stessa per cavarne cagione di cantare le tue lodi. Oh va! Riceverai facile corona dal secolo pazzo che tira arie infiammabili e tonanti dai carboni di sotterra**, mina con esse i luoghi abitati, e passeggia tranquillo sul pericolo sempre imminente per il solo gusto di cambiare i fanali pacifici e sicuri alimentati dall’olio, coi beccucci esplosivi del gasse. Oh va! Opportunamente*** fai consorzio col furibondo vapore che dietro si turbina i carri sulle rotaie di ferro, li stravolge, li rovescia, li stritola; scoppia terribile e fa orrendo macello di vittime a migliaia, e mena più strage che battaglia sanguinosa, a cui potresti assistere qual faccella fiammante, degna di spandere luce nei sontuosi funerali.»
«L’ira ti accieca e me ne duole. Tu vorresti ch’io cessassi di illuminare quaggiù, mi ritraessi di nuovo ne’ cieli**** e non apparissi più sulla terra; ond’io per compiacerti dovrei restare sorda alle invocazioni degli uomini, i quali mi dimandano con istanza che io spanda in loro bene i miei raggi innocenti. Per rispetto del tuo amor proprio avrei da rinunciare alla gioia soave di essere utile a coloro che abbisognano di me.»
«Ipocrita! che cianci de’ beneficii tuoi? Non basto io a dar lume agli scervellati che s’inginocchiano dinnanzi alla tua deità, come ti gireranno le spalle per inchinarsi ad altro nume. Ma tu conosci meglio di me tali cose, tu che hai intelligenza conforme alla tua natura celeste, e non pure t’infingi di nulla comprendere di ciò. Se veramente i tuoi intendimenti fossero di quella rettitudine onde li vanti, e bramassi il solo bene altrui, in tal caso***** spegniti, ricacciati nelle tenebre da cui scaturisti, e lascia ai vecchi e pratici delle faccende, conoscitori del mondo, lascia loro il mestiero in cui divennero maestri.»
«Odimi e poi taccio. Io non cercai né cerco di profferirmi in tuo cambio a coloro che ti prescelgono per genio o che usano di te per necessità; facciano loro prode e giovamento della tua luce e ne godano a volontà; ma concedo poi volentieri che valgasi di me chiunque mi dimostra preferenza e mi tiene in pregio. Spegnermi non potrei più quand’anche io lo volessi affine di renderti cosa grata, imperocché io sono inestinguibile: mi soffocherebbero da un lato e tosto risorgerei dall’altro! Lo stimolo di crescere, di grandeggiare, di empiere di me il mondo, mi sprona innanzi, mi eccita, mi rapina a compiere i miei destini. I quali sono eccelsamente gloriosi, e non lo nascondo; verrà tempo in cui splenderò faro, anzi sole dalle torre eminenti, e fugherò le tenebre della notte, e sarò signacolo ai viaggiatori perduti, ai nocchieri erranti. D’altronde io non sono che un’umile figliuola e vivo perché vive il mio gran padre, il quale chi mai si argomenterebbe di raffrenare entro limiti angusti? Chi si attenterebbe di annullarlo? Una sua invasione strugge i metalli, incarbonisce i legni, sfracella le roccie, ruina gli edifici, uccide i viventi. Provati a incatenare il padre mio se ti bastano le forze, ed in allora me pure avrai tua prigioniera.»
Gli spettatori nulla intesero del colloquio, non avvezzi al linguaggio onde i corpi luminosi scambiano i discorsi tra di loro.
Ma ora che l’arcano favellare fu dicifrato, messo in carta e ridotto all’intelligenza comune, niuno può scusarsi d’ignorarlo, né di sconoscerne l’utile significato. Al vecchio il nuovo succede e, quando****** sia di buona natura, prevale dopo superati i primi ostacoli. Ai torti giudizii sottentrano le idee giuste, all’errore la verità, purché chi propugna la causa del vero non si sgomenti, non si avvilisca, non paventi i clamori, combatta intrepido, resista imperturbato.




* Nell’originale, figura qui tra parentesi tonde il numero 7, che rimanda al testo della relativa nota contenuta in Note, l’elenco delle note, verosimilmente tutte di pugno dell’Autore stesso, inserito subito dopo la fine dell’ultima favola della raccolta e subito prima dell’Indice. Ecco il testo di tale nota: «Intendesi comunemente la luce prodotta dalla corrente elettrica quando fa arco continuo tra due punte di carbone collocate a piccola distanza tra di loro.»
** Nell’originale, figura qui tra parentesi tonde il numero 8. Il testo della nota 8 contenuta in Note, tuttavia, si riferisce a un’altra nota 8, quella riguardante – come vedremo – la favola Il prato di cerfoglio.
*** Nell’originale, «opportunamente». Abbiamo preferito inserire l’iniziale maiuscola, perché nell’unica occorrenza di «Oh va!» presente in questa favola, pochissime righe sopra, tale interiezione è seguita da «Riceverai».
**** Nell’originale, qui è presente una virgola.
***** Nell’originale, qui è presente una virgola.
****** Nell’originale, «succede, e quando».




Indice