CELEBRI VIGNOLESI

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I due ovi al fuoco



Una cuoca valente, amante della nettezza* e premurosa verso i suoi padroni, ebbe un dì da cuocere due ovi, o, a dire più giusto, da intepidirli sulla cenere, acciò ricevessero quel blando calore** onde si rappigliassero un tantino vicino al guscio, in modo che l’albume diventasse simile a morbida e tremula gelatina. Desiderando che riuscissero di pieno aggradimento della sua signora che le li aveva chiesti, li scelse de’ freschissimi, di guscio candido, ovali perfettamente, da appagare il palato non solo, ma benanco gl’occhi. Dopo averli collocati sur un piatto di maiolica, nel riguardarli restò ammirata della loro leggiadria, sì che perdette qualche minuto a compiacersi della loro vista, lieta che fosse per esercitare l’opera sua intorno a due ovi sì galanti ed aggraziati, da guadagnarle larghi encomii quando li avrebbe presentati su bianco tovagliolo, col bianco sale ed il pane di fiore a colei che li domandò.
«Scommetto che parrebbero di marmo di Carrara o di alabastro a chiunque non sapesse che siano veri di gallina. Non varrei ad imitarne di più belli né con gelatina in ghiaccio, né con lattemiele, e neppure con neve della più immacolata che cada sul monte. Siete una magnificenza e meritereste di essere imbalsamati e collocati su mensola nella sala, tra que’ ninnoli preziosi che ne fanno ornamento. Anzi no; voglio cuocervi gentilissimamente, pulirvi accuratamente dalle ceneri acciò il vostro candore non rimanga offuscato, e voi molcerete il palato della padrona mia, che vi suggerà dolcemente e se ne sentirà refocillata.»
Durante il soliloquio, andò al focolare, ne rimosse le brage, aprì in cerchio la cenere, ne la tolse affatto dallo spazzo di mezzo, e vi pose adagino, e con delicatezza indicibile que’ suoi due prediletti. I quali non impazzarono di gioia, per le beatitudini loro promesse dalla benevola cuoca; e con quel linguaggio onde favellano tra di loro, così la discorsero:
«Grande felicità fia cotesta di patire il tormento di una molesta e micidiale caldura, finché mutiamo l’essere nostro, e di pulcini che dovremmo diventare ci trasformiamo in una vivanda da empiere lo stomaco di una femmina, che ci smaltirà in sugo per suo nutrimento! Oh se le madri nostre ci avessero in loro balìa, ci coverebbero amorosamente e col soave natural tepore dei loro corpi susciterebbero in noi il germe di vita che racchiudiamo, e ci organeremmo in membra unite insieme con prodigiosa sapienza, e,*** formati che saremmo di polpa e di ossa, acquisteremmo forza di rompere la chiostra**** e uscire a respirare l’aria libera. Così vedemmo succedere nel pollaio di talun altro nato prima di noi. È dura cosa morire in fasce, anzi prima di nascere, e sentirci intuonare sopra la canzone giuliva del nostro termine immaturo. Perché siamo belli ci danno al fuoco, indi al ventre; ma perché belli non avremmo piuttosto il merito di ricevere il degno compimento di quel fine per cui fummo creati?» E credo avrebbero continuato nelle querele dolorose se dal focolare non fosse proceduta rapida la cagione che in loro spense la facoltà di seguitare più innanzi.
Frattanto la cuoca, reputandoli oramai bazzotti e cucinati a dovere, li raccolse, li asciugò dell’umore che trasudarono dal guscio, contro il quale umore per poco non s’indignò forte, essendo avvenuto che***** qualche granello di cenere qua e là vi si fosse conglutinato e recato a lei qualche fastidio a nettarneli compiutamente. Miserelli! era quello il loro pianto; né potevasi poi chiamarli in colpa e vituperarli, se mandarono lagrime nell’atto in cui li uccidevano lentamente****** e li preparavano a pasto di chi avrebbeli inghiottiti e tolti per sempre dalla luce del mondo!




* Nell’originale, qui è presente una virgola.
** Nell’originale, qui è presente una virgola.
*** Nell’originale, qui non è presente una virgola.
**** Nell’originale, qui è presente una virgola.
***** Nell’originale, qui è presente una virgola.
****** Nell’originale, qui è presente una virgola.




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