Fu preso alla rete un rigogolo, e tosto imprigionato in gabbia di vimini, acciò col giallo vivace delle sue penne e il lesto saltellare desse** vaghezza agli*** occhi, e procurasse compiacenza a chi possedevalo di udire a ripetersi: se non è magnifico quest’uccello!
Sospirò amaramente la perduta libertà, e pigliò a tal noia della solitudine, che, quando collocavanlo sulla finestra, col pietoso guaire chiamava a sé gli altri uccelli, che gli si avvicinassero, venissero a tenergli un tantino di conversazione, a rendergli meno lugubri le lunghe ore delle interminabili giornate.
Sembra che poscia fosse alloppiato con un cibo amministratogli a bella posta, ovvero che desse**** volta al cervello per il dolore della prigionia, e colla mente inferma si argomentasse di possedere quel bene inapprezzabile che aveva perduto purtroppo; fatto sta che una notte dormendo sognò di vivere libero, e proprio lì dentro nella gabbia, e, destosi, credette veramente di essere il più libero e franco uccello che battesse le penne per l’aria. Con istraordinaria gaiezza cinguettò, balzellò da stecco a stecco, ingollò cibo a iosa, si abbeverò allegramente***** e arse dal desiderio che lo trasportassero sul balcone per narrare agli amici suoi la lietissima novella della rotta schiavitù.
«Finalmente respiro aria pura e mi godo di svolazzare a capriccio nei vasti campi dei venti e delle bufere. Mi poso sopra i verdi rami, a fuggire il caldo soverchio del sollione****** e ad ascoltare in piacevole meditazione il mormorio del rivoletto che scorre a basso. Oh chi avrebbe mai imaginato che sì presto tornassi padrone di me!»
Gli amici, a questi strani propositi,******* restavano mutoli non sapendo che rispondergli, e poco di poi dicevano tra di loro: «il poverino è impazzato. Meglio per lui che ora non ha più conoscimento della sua trista fortuna!»
Lo storno, come parente, stette ad ascoltarlo più attento degli altri e con sospiri più profondi, e per zelo di parentela e di amore volle pure tentare di levargli quella funesta illusione dal capo, dacché avrebbe potuto essergli cagione di non iscampare dal carcere quand’anche per inavvertenza glielo lasciassero aperto.
«Oggi tu scherzi sulle tue presenti miserie, e ciò mi aggrada, perché mi è segno di buon umore, Nondimeno, io spero nel tuo buon senno che non vorresti scherzare così, e dimenticheresti le celie quando fosse per succedere che cedesse ai colpi del becco uno sportellino mal chiuso, e ti fosse pronto il valico a riacquistare la bramata libertà!»
«Libertà! rispose il rigogolo; non ne posseggo io quanto ne voglio e non meno di te! Guarda se non mi libro sulle ali, se non salto di fronda in fronda, se non istrillo a mia posta, se dal fonte non traggo acqua limpida, e dalla siepe non colgo bacche a saziarmi?»
«Ohimè! e qual ragione adunque ti costringe a rimanerti confinato tra questi cancelli, che ti circondano in cerchio, di sopra, di sotto, e ti impediscono di venire fino a me, il quale ti sto lontano per brevissima distanza?»
«Ah! i cancelli non sono contro i miei liberi moti, sibbene a mia difesa dagli assalimenti mortali del feroce sparviero! La tua vita è forse sicura dal nemico quanto la mia? Libero ed illeso, che poss’io augurarmi di maggior bene?»
Una tale libertà quale il rigogolo la concepì dal sogno, e si raffigurò di fruire tranquillamente, può sembrare onorevole ed invidiabile a coloro i quali non si curano d’altro che di satollare il ventre, soddisfare ad altri gusti animaleschi, né vogliono pigliarsi la fatica di spingere la vista più in alto dei sopraccigli, onde non par loro diverso il vedere colle palpebre alzate o cogli occhi coperchiati. Pare certo che in cuor loro agognino a quegli anni in cui******** bamboleggiavano in fasce o nel cestino, e sentano necessità di una nutrice che loro porga la poppa da suggere latte e li avvolga tra le fasce, colle braccia e le gambe inviluppate, acciò dimenandole non abbiamo ad incogliere in qualche male. Di gente poi che di buon grado li prenda a balire non manca il mondo; ma considerino che il fastidio e le cure prestate per il loro governo danno anche ai loro balii l’autorità di uomini fatti verso gl’infanti, l’arbitrio perciò di sculacciate e di scappellotti ogniqualvolta per capriccio recalcitrassero od accennassero a qualche tentativo di riprendere le maniere di chi porta barba sul mento. Non è senno nell’età fanciullesca e giovanile pretendere di regolare da sé la vita, senza i consigli e l’indirizzo dei provetti; ma neppure è degno di ragione********* che negli anni virili si obbedisca pecorescamente alle altrui suggestioni od imperio, per il solo compenso di cansare la briga di pensare alle proprie bisogna. La fatica di provvedere da sé a sé guida la mente a riflettere, a ponderare; ammaestra a discernere il vero bene da quello che ne ha la sembianza; forma a poco a poco il criterio a giudicare con rettitudine; rinvigorisce, sostiene, induce ai forti propositi e vi ci rafferma; risolleva l’uomo alla maestà di essere intelligente, campione a morte dell’onesto, avversario perpetuo dell’ingiusto.
* Nell’originale, figura qui tra parentesi tonde il numero 6, che rimanda al testo della relativa nota contenuta in Note, l’elenco delle note, verosimilmente tutte di pugno dell’Autore stesso, inserito subito dopo la fine dell’ultima favola della raccolta e subito prima dell’Indice. Ecco il testo di tale nota: «Rigogolo. Uccello di bellissimo colore giallo d’oro, della lunghezza di 10 pollici.» (Un «pollice» misurava poco più di 2 cm.)
** Nell’originale, «dasse».
*** Nell’originale, «agl’».
**** Nell’originale, anche qui, «dasse».
***** Nell’originale, qui è presente una virgola.
****** Nell’originale, qui è presente una virgola.
******* Nell’originale, qui non è presente virgola.
******** Nell’originale, qui è presente una virgola.
********* Nell’originale, qui è presente una virgola.
********** Nell’originale, qui è presente una virgola.