CELEBRI VIGNOLESI

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Un sogno



Racconto il sogno di un certo tale, persona molto reputata de’ suoi tempi, e che fu raccolto dalla sua bocca e tramandato tradizionalmente di generazione in generazione.
Fece egli un dì una buona azione, una di quelle azioni che sono da uomo dabbene, integerrimo, di cuore e d’intendimenti immacolati. Ne fu soddisfatto assai, tanto da divenire di un umore sì allegro che non mai parve più lieto in sua vita. Ma la compiacenza dell’opera propria non si restrinse tra i limiti di una modestia cristiana: e cominciò a sentire il pungolo di pompeggiarsene tra sé, e con esso il ruzzolo che ad altri si facesse nota, ed egli ne ricevesse lodi e credito accresciuto di onoratezza. Fra questi pensieri si addormentò, e tosto che fu immerso nel sonno gli si svegliò la fantasia la seguente visione.
Sembrogli di star assiso agiatamente sopra un comodo seggiolone, considerando ai diversi casi nei quali operò virtuosamente, ed in ispecie all’ultimo; e provava angustia d’animo che a pochi fossero conosciuti, e ne avesse ricevuta fama al di sotto del merito. Indi sembrogli ancora che egli non avesse potuto tenersi di non buccinarne alle altrui orecchie, onde se ne fosse poi sparsa la voce, con seguito di encomii e di plausi a lui diretti. Piovevangli già lettere, viglietti, visite, onori in ossequio e riconoscenza; sicché, gongolandone dalla gioia, ormai sentivasi come sollevato verso l’alto, e non più seduto in poltrona, ma circonfuso tra nubi dorate, profumate, lucenti, in vera apoteosi.
Una scossa, a somiglianza di quella di una batteria elettrica, lo trasse dalla beatifica illusione, e gli parve che una qualche cosa gli fosse stata cavata dai membri, a guisa di una spada dal fodero, e che fosse rimasto floscio, molle, privo di sodezza, non meno che gelatina, e nella necessità di tenersi su con uno sforzo straordinario dei muscoli e dei nervi, non più aiutati dalla rigida solidità delle ossa. Nel tempo medesimo videsi dinnanzi con grande raccapriccio uno scheletro vivo, non ingiallito, fresco ancora della polpa che poco stante lo vestiva, e con la cavità degli occhi lampeggianti di una fosca fosforescenza, e colla caverna della bocca non vuota, ma occupata da una specie di guizzo nebbioso, che simulava una lingua. Lo scheletro non profferiva parola né mandava suono tranne di quando in quando uno scricchiolìo* dei denti; nondimeno facevasi intendere con sì gagliardo discorso, che il pover uomo era inabbissato dallo spavento. «Su via non isgomentarti peggio di un fanciullo, che non voglio cibarmi di te, perché sono il tuo scheletro. Perdonami anzi se mi pigliai la libertà di cavarmiti per un po’ di dosso: ma questo non avvenne senza ragione. Guardami in fronte: ivi porto scritte le tue gesta in bene ed in male: che ne pensi?»
E diffatto apparvero a lettere cubitali, e furono in numero grandissimo, quantunque non si comprendesse come mai potessero capire in sì piccolo spazio.
Vide molte e molte opere sue, che aveva interamente dimentiche, né erano le più lodevoli; e dappresso anche una serie minore di buone; se non che instituendo i confronti, ohimè! il di più della differenza non era dalla parte del bene, e la coscienza gli disse chiaramente che senza una larga dose di misericordia divina, in cui doveva confidare, non sarebbe stato il pareggio.
E più particolarmente il maggior aggravio del male componevasi del cumulo delle quotidiane mancanze o per accidia,** o per pusillanimità, o per insofferenza delle cose contrarie, o per derisione degli altrui difetti, o per indomato risentimento dei torti ricevuti.
Il brav’uomo alla fine si svegliò, tra il contento che fosse stato un sogno, e il profondo rammarico di esserselo procacciato da sé colla intemperanza dei suoi compiacimenti. D’allora in poi seguitò e crebbe nell’esercizio delle virtù più belle; senza ostentarlo, senza vanagloriarsene, senza desiderar altro che l’occhio di Dio al quale fossero palesi, ed a cui solo fossene manifesto il candore.




* Nell’originale, il refuso «schricchiolìo».
** Nell’originale, questa virgola è assente.




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