CELEBRI VIGNOLESI



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La ricca e la mendica



Una gentile giovane soleva abitualmente tutte le mattine raccogliersi nel verde prato a cui metteva il giardino della sua villa, ed ivi, all’ombra degli alberi sorgenti quà e là, trattenevasi qualche ora, parte leggendo, parte contemplando, parte dilettandosi di pizzicare giulivamente l’arpa secondo che l’inspirava la fantasia.
Per un senteruolo che dal prato menava alla strada, entrarono un dì e salirono fino a lei* una vecchia povera con a mano una fanciulla di otto anni, ambedue stremate assai e di aspetto compassionevole. Fermatesi a distanza rispettosa, la fanciulla intuonò colla sua limpida vociuzza una semplice cantilena di lode a Dio, con cui si argomentava la meschinella di compungere i cuori a pietà dell’avola sua. Era nata per il canto; laonde, quantunque incolta, formava certe note sì giuste e sì delicate che vibravano nell’interno di chi ascoltavala e ne commuovevano gli affetti. La gentil giovane la richiese della replica, e, presa l’arpa, fecesi per vezzo ad accompagnarla con accordi armonici piacendovisi oltremodo, non tanto come di cosa insolita, quanto perché ne provava una nuova dolcezza.
Alcuni giorni dopo, era dessa seduta nel luogo medesimo, sotto un alto e ramoso mandorlo, allorquando si vide dinnanzi, altra volta, la mendica e adesso da sola. Lo strazio dell’animo dipintole nel viso e un gemito di dolore inconsolabile uscitole dal petto, dissero più che non avrebbero fatto le parole: esserle già rubato dalla morte l’ultimo bene che rimanevale in terra, la tenera ed amabile nipotina. La giovane nulla osò di chiederle, e neppure di offerirle soccorsi: qual balsamo mai avrebbe lenito gli spasimi inenarrabili di quella misera? La quale,** con occhio fisso, non pareva intenta ad altro che a mirare l’arpa; quasi là dentro fosse rinchiuse la sua piccola compagna, quasi di là dovesse richiamarla a vita.
Fosse istinto, fosse sentimento, la giovane toccò le corde e trassene la cantilena udita dalla fanciulla, facendole tremolare con tale soavità che non dalle dita, ma dall’anima stessa avresti giurato partirne il fremito. Il volto della vecchia andò chiaramente stenebrandosi: nella fronte rugosa tornò il sereno de’ suoi tempi migliori, e allungò le braccia verso lo strumento per istringerlo caramente al seno come fosse la sua bambina. E la giovine sempre più commossa seguitava nell’arpeggio, variando le note in somiglianza ora di voce lontana che chiama, ora di vicina che consola, riconforta, solleva. Di quella musica a poco a poco fu essa medesima sì compresa e rapita, che videsi dinnanzi tutta la verde distesa del prato ingemmata di bellissimi fiori di gradevolissima fragranza, e fiori rampollarle dai lati, e di fiori rivestirsi le piante, e fiori in pioggia leggiadra discenderle dai rami, sicché assidevasi in nuvolo di fiori, ghirlandata di rose e di gigli.
Dall’arpa i suoni balenano a sprazzi ed a scintille; illuminano all’intorno; contrastano col sole, e la povera vecchia trasmutata in bell’angelo, le sorride beata, mentre le si dilegua dinnanzi e si confonde nello sparire, coll’azzurro del firmamento.

Chi s’ingegna di alleviare i patimenti altrui può pregustare fino da quaggiù le delizie del Cielo.




* Nell’originale, qui è presente una virgola.
** Nell’originale, questa virgola risulta assente.




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