CELEBRI VIGNOLESI


Indice dei mesi



MARZO




Marzo 1862: quando era appena stato nominato capo di Gabinetto del Ministero della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia nella capitale Torino, FRANCESCO SELMI (1817-1881) – famoso chimico, inventore, divulgatore culturale e scientifico, patriota, alto funzionario pubblico, biografo, narratore, studioso di Dante e dei primi secoli della lingua italiana, nonché profondo conoscitore tanto della storia del paese natale quanto delle figure dei suoi figli più illustri – fece uscire un articolo, intitolato Di alcune ragioni della presente mediocrità in Italia, nella «Rivista Contemporanea», celebre periodico torinese di cultura e varia umanità al quale egli aveva già collaborato più volte. Qui sotto proponiamo ai nostri lettori un brano tratto da quel testo:

Io sono d’avviso che gli ostacoli agli studii, la persecuzione infaticabile alle menti svegliate e più ardite, gl’impedimenti ai viaggi, alla cognizione dei progressi altrui, conservandoci in istato di funesta ignoranza, irruginendoci [sic] gl’intelletti, assuefacendoci [cioè: assuefacendo noi Italiani] ad acre accidia ed a vano orgoglio, furono pessimi tra i mezzi usati dalle cattive signorie ad estinguere in noi la coscienza di noi medesimi; e non solo operarono malamente sulla generazione che passa, ma predisposero a brutta inclinazione anche quella che sorge. E qui parmi urgente che si accorra a riparare il danno.

Nell’immagine sottostante, ritratto di Francesco Selmi, olio su tela anonimo e senza data (ma probabilmente della seconda metà del 1859); è custodito a Modena, all’interno del Rettorato dell’Università di Modena e Reggio Emilia (il celebre Vignolese fu rettore dell’Ateneo di Modena dal giugno al dicembre 1859). Fonte: google.com








Marzo 1862: riportiamo un altro passo tratto da Di alcune ragioni della presente mediocrità in Italia, articolo che FRANCESCO SELMI (1817-1881) – illustre chimico, inventore, divulgatore culturale e scientifico, patriota, alto funzionario pubblico, biografo, narratore, studioso di Dante e dei primi secoli della lingua italiana, nonché profondo conoscitore tanto della storia del paese natale quanto delle figure dei suoi figli più illustri – fece uscire nel marzo del 1862 all’interno della rinomata «Rivista Contemporanea» di Torino:

Chiunque considera i mali dell’Italia, secolari più volte, e conosca, non dico in tutto, in parte solo quale fosse l’opera assidua e moltiplicata della pessima signoria per travagliarla da capo a fondo sino a cambiarle sembianti e natura; concorrendo in funesto accordo su questa povera terra, qualsivoglia maniera e setta di retrogradume, sicché di culla classica dei sommi uomini, fosse poi abitazione e nutrice di pigmei, dico non vorrà renderla in colpa che ora abbia difetto di forti ingegni. Anzi compatendole, vorrà poi venirsi consolando, ponendo mente come tra i fiacchi e pusillanimi producesse pure qualche audace, e animi rubesti, e ricorderà la natura baldanzosa dei molti che ad incredibile spregio della vita buttaronsi nelle imprese arrischiosissime e nelle battaglie difficili, votandosi a morte per l’onore, per il ricuperamento, la difesa della libertà e dell’indipendenza.

Nell’immagine qui sotto, Francesco Selmi all’apparente età di circa 47/48 anni. Fonte: Fondo archivistico Selmi.






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3 marzo 1765: scoppiò un’acerba guerra letteraria italo-francese che vide tra i protagonisti AGOSTINO PARADISI IL GIOVANE (1736-1783).

In questa data, uscì nella rivista parigina «Gazette Littéraire de l’Europe» una Lettre écrite de Parme [...], anonima, ove l’Italia veniva accusata di essere ormai da tempo in piena decadenza morale, culturale, politica ed economica. Il nome dell’autore di tale Lettre non rimase celato a lungo: si trattava del controverso philosophe Alexandre Deleyre (1726-1797), che all’epoca era ospite presso la Corte ducale di Parma.
Tra le prese di posizione avanzate contro la Lettre di Deleyre, le più lucide e ragionevoli furono senza dubbio quelle di Paradisi, che inviò al foglio veneziano «La Minerva o sia Nuovo giornale de’ letterati d’Italia» un’Epistola ai Signori Compilatori della Minerva sopra un’Epistola Francese scritta in biasimo dell’Italia, firmata con le iniziali del suo nome e del suo cognome seguite da puntini, e datata 11 settembre 1765. Tale testo apparve nel numero della rivista uscito il mese successivo.
L’Epistola paradisiana, che venne poi diffusa sotto forma di opuscolo (Sopra lo stato presente delle Scienze e delle Arti in Italia […], In Venezia, Appresso Antonio Graziosi, 1767), offrì una risposta, ben argomentata e decisa nel tono, alla Lettre écrite de Parme. In quest’ultimo scritto, a giudizio dell’intellettuale nato a Vignola, il quadro dell’Italia appariva troppo ingeneroso e malevolo, e più volte le tesi sfioravano il ridicolo, in quanto era nota alla stragrande maggioranza dei dotti europei coevi la presenza, nei diversi Stati della Penisola, di istituti, laboratori, Università, Accademie ecc., dove moltissime persone, coltivando assiduamente le lettere, le scienze e ogni genere di arte, stavano ottenendo risultati di prim’ordine nel processo di rinnovamento della cultura.

Nell’immagine sottostante, Caterina Piotti Pìrola (1800-1842?), ritratto postumo di Agostino Paradisi il Giovane, incisione pubblicata per la prima volta nel 1837 o 1838. Fonte: Iconografia dei celebri vignolesi edita per cura di Francesco Selmi, Modena, A spese di Giuseppe Lupi librajo, 1839. Il piccolo libro in oggetto è una pubblicazione periodica di natura collettiva costituita di sette dispense singole (le quali presentano in alcuni casi note tipografiche parzialmente diverse da quelle che si trovano nel volumetto rilegato, ad esempio «Presso il libraio Giuseppe Luppi»; quest’ultimo, peraltro, risulta il nome corretto del libraio modenese), così intitolate: Jacopo Cantelli, Lodovico Antonio Muratori, Jacopo Barozzi da Vignola, Pietro Antonio Bernardoni, Agostino Paradisi, Giuseppe Soli, Veronica Cantelli Tagliazucchi. L’incisione della Piotti Pìrola apre la dispensa su Paradisi, il cui testo scritto è firmato in calce da Francesco Predari.






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6 marzo 1660: nacque a Vignola DOMENICO BELLOI (o Belloj), notaio e storico.

Figlio di Pietro – o PierErcole (1634-1702), Domenico Belloi si addottorò in utroque iure presso l’Università felsinea (1681). Subito dopo essere stato protonotario apostolico a Roma (1683-1684) e aver accarezzato l’idea di trasferirsi a Bologna, fu podestà a Monfestino, che all’epoca apparteneva al Marchesato di Vignola, retto dalla famiglia Boncompagni Ludovisi, feudataria dei duchi estensi di Modena. In seguito, venne nominato podestà di Corniglio, borgo che a quel tempo si trovava nel Ducato di Parma. Da lì a poco, intraprese l’attività di notaio a Vignola, dove nel 1689 sposò la ventunenne Anna Maria Vallicelli (m. 1710), che gli diede nove figli, sei dei quali però non arrivarono all’età adulta.
Nel paese natio e a Modena, Belloi strinse rapporti d’amicizia con alcuni degli uomini di lettere più importanti allora attivi nel Ducato estense. In particolare, entrò in grande confidenza sia con un illustre personaggio molto legato al padre, Giacomo – detto JacopoCantelli (1643-1695), sia con colui che diventò da lì a pochi decenni una delle maggiori glorie culturali italiane dell’Età Moderna, Lodovico Antonio Muratori (1672-1750).
A partire dall’ultimissimo scorcio del Seicento, Belloi dovette affrontare un periodo sfortunato della vita e della carriera: all’inizio del 1701, fra l’altro, ebbe termine il suo breve “esilio” presso l’oratorio di Santa Maria della Plebe (oggi santuario della Beata Vergine della Pieve), situato a circa tre chilometri dal borgo di Vignola.
Tra il 1704 e il 1706, il nostro personaggio si dedicò alla stesura di De Vineolae moderniori statu chronica enarratio, la più autorevole esposizione delle vicende storiche di quella comunità e del suo territorio composta fino ad allora (l’opera venne stampata solo nel 1872, a cura di Alessandro Plessi [1824-1907], in occasione del secondo centenario della nascita di Muratori). Nello stesso torno di tempo, egli vergò altri due testi, il De familiis nobilioribus Vineolae e le Institutiones rite ac recte vivendi, rimasti manoscritti.
Belloi morì nel suo paese natale il 27 luglio 1712, pochi mesi dopo aver preso i voti religiosi. Fu sepolto nell’antica chiesa dei Cappuccini di Vignola, intitolata all’Immacolata Concezione e finita di costruire dieci anni prima.

Nell’immagine qui sotto, la casa natale di Domenico Belloi situata lungo l’odierna Via Garibaldi (per la precisione, di fronte alla chiesa dei Santi Nazario e Celso).




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10 marzo 1931: nacque a Firenze un illustre Vignolese d’adozione, l’artista GIANCARLO DUGHETTI.

Fratello del valente pittore e incisore Roberto (1938-2006), Giancarlo Dughetti fu allievo di Pietro Annigoni (1910-1988) e si affermò sulla scena artistica internazionale specialmente come autore di accuratissime opere a pennello di piccole dimensioni, tanto che egli viene tuttora considerato uno dei grandi maestri italiani del Novecento nel campo della miniatura.
Il nostro personaggio partecipò a innumerevoli esposizioni e mostre in patria e all’estero, e parecchi sono i suoi dipinti custoditi all’interno sia di importanti musei pubblici sia di prestigiose collezioni private sparsi per il mondo. La mirabolante perizia di Dughetti gli procurò l’occasione di ritrarre figure di primissimo piano, tra le quali vanno almeno ricordate quella dello scià di Persia Mohammed Reza Pahlavi (1919-1980) e quella del pontefice Giovanni Paolo II (1920-2005), due miniature che risalgono – rispettivamente – al 1964 e al 1980.
Il celebre artista si sposò nel 1962 con Anna Romagnoli (n. 1936), che fu la sua musa e la sua modella preferita. Dall’unione, tre anni dopo, nacque la figlia Simonetta.
Dal 1973 Dughetti abitò con la famiglia in territorio vignolese, dapprima a Campiglio e poi in Via Paraviana.
Il nostro personaggio morì nella sua cittadina d’adozione il 16 gennaio 1986. Fu sepolto nel cimitero di Campiglio, dove riposò fino al 2018; ora la tomba è collocata nel camposanto di Vignola Capoluogo.

Nell’immagine sottostante, una delle opere più note di Dughetti, Ritratto del papa Giovanni Paolo II (1980), miniatura su avorio, 17x12 cm; Città del Vaticano, Collezioni Pontificie. Fonte: blog di Anna Romagnoli Dughetti.






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IN OCCASIONE DEL “DANTEDÌ”, commemorazione ufficiale di Dante Alighieri (1265-1321) che si tiene ogni anno in Italia il 25 marzo, PUBBLICHIAMO DUE CONTRIBUTI INCENTRATI SU ALTRETTANTI ILLUSTRI VIGNOLESI CHE SI FECERO CONOSCERE COME ESTIMATORI DEL GRANDE FIORENTINO.



Nel XVIII secolo, erano tutto sommato poche le persone colte che, in Italia come all’estero, ammiravano la poesia di Dante: in quel periodo, infatti, si preferivano generalmente opere in versi caratterizzate da un disegno armonico e da uno stile chiaro, elegante e sostenuto, e prive di nozioni e rimandi filosofico-teologici tratti dalla Scolastica; la Commedia, invece, era contraddistinta non di rado da un lessico basso e veniva ritenuta troppo oscura, disordinata e intrisa di idee medioevali.
Nonostante il clima culturale razionalista che dominava nella sua epoca, AGOSTINO PARADISI IL GIOVANE (1736-1783) – poeta, saggista, traduttore, drammaturgo, storico ed economista – tributò per tutta la vita elogi alti e convinti al grande Fiorentino. E, anzi, a contribuire molto a far conoscere e apprezzare in tutt’Italia l’autore emiliano, quando egli aveva da poco superato i vent’anni d’età e non era quasi per nulla noto fuori del Ducato di Modena, fu proprio l’uscita di una sua ispirata ode in difesa di Dante nella rivista veneziana «Memorie per servire all’istoria letteraria» (dicembre 1758).
Tale poemetto, composto in levigati e robusti endecasillabi sciolti, pone in risalto la capacità dantesca di parlare magistralmente dei misteri divini, di scrutare in profondità l’anima umana e di tratteggiare immagini memorabili. L’intellettuale estense fece confluire questa riuscita apologia, la quale meritò a lungo lodi da più parti, nel suo volumetto recante il titolo di Versi sciolti (In Bologna, A S. Tommaso d’Aquino, 1762), una fortunata raccolta che vide di nuovo la luce a stampa nel 1795, postuma (In Genova, Nella Stamperia di Andrea Frugoni).

Nell’immagine qui sotto, prima pagina dell’editio princeps dell’ode che Agostino Paradisi il Giovane scrisse in difesa di Alighieri (Contra l’Autore delle Lettere Pseudo-Virgiliane al Signor Canonico Ritorni, «Memorie per servire all’istoria letteraria», t. XII [luglio-dicembre 1758], dicembre 1758, pp. 473-478). Fonte: google.com







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Soprattutto fra il 1860 e il 1867, FRANCESCO SELMI (1817-1881) – chimico, inventore, divulgatore culturale e scientifico, patriota, alto funzionario pubblico, biografo, narratore, nonché profondo conoscitore tanto della storia del paese natale quanto delle figure dei suoi figli più illustri – studiò Dante in maniera appassionata. Queste accurate indagini del celebre Vignolese, che già possedeva una vasta cultura umanistica, s’intrecciarono alla sua ricerca filologicamente erudita delle radici della lingua nazionale.
In quel periodo, Selmi dedicò alcuni scritti di rilievo alle opere del grande Fiorentino e fece il possibile affinché gli Italiani le leggessero, e affinché onorassero il loro autore. Inoltre, mandò alle stampe due antichi componimenti poetici che attribuì a Dante e che riteneva sconosciuti e inediti.
Non solo. Selmi pubblicò nel 1865 un interessantissimo commento anonimo, che risaliva alla prima metà del XIV secolo, dell’Inferno; raccolse parecchio materiale su Dante con l’obiettivo di scriverne una biografia, progetto che tuttavia non si concretizzò, in quanto gli riuscì impossibile far luce su alcuni aspetti che egli considerava non trascurabili; intrattenne rapporti epistolari con alcuni dei più grandi dantisti del tempo e con bibliotecari di pubbliche istituzioni ove si custodivano codici della Commedia; sceneggiò un dramma lasciato imperfetto, avente come personaggi principali Dante e Beatrice; pronunciò almeno una conferenza sul Poeta Nazionale. E ancora: Selmi fu a un passo dal veder approvato un decreto, da lui promosso e della cui minuta risultò estensore, che stabiliva l’istituzione, in ciascuna delle tre Università emiliane (ossia Bologna, Modena e Parma), di una cattedra di commento a Dante (1860); caldeggiò la proposta di realizzare un’edizione nazionale della Commedia; lui stesso esaminò un numero considerevole di codici del poema dantesco, trascrivendone le varianti e rivolgendosi a molteplici studiosi di sua fiducia perché facessero lo stesso o mettessero a disposizione il frutto di spogli precedenti (il suo scopo era quello di predisporre, in collaborazione con il linguista salernitano Bruto Fabricatore [1822-1891], un’edizione della Commedia che accogliesse le più significative varianti del testo); partecipò alle celebrazioni per il sesto centenario della nascita di Alighieri (1865).
Selmi considerava Dante il maggiore poeta italiano, giudizio che a lungo e fino a pochi decenni prima era stato condiviso da pochi uomini di cultura. Secondo l’illustre Vignolese, il grande Fiorentino aveva molti meriti in campo letterario, fra i quali non era da tralasciare il suo ruolo nel far maturare la lingua volgare italiana con capitali opere in poesia e in prosa. Selmi si dichiarava altresì convinto che occorresse lodare Dante pure al di fuori di quell’ambito. Per esempio, Alighieri aveva respinto il concetto di plenitudo potestatis papale e auspicato che Roma diventasse sede tanto del seggio imperiale quanto di quello pontificale. Ma non solo: Selmi elogiava il Sommo Poeta anche perché questi si rivelò attivamente “aperto al mondo” e cercò di diventare alleato – o, meglio, guida – degli individui di buona volontà, riservando non di rado speciale attenzione al presente e al futuro degli Italiani. Ad avviso dell’insigne Vignolese, infine, Dante condensava in sé le migliori qualità dell’uomo italiano, ragion per cui egli era e doveva essere modello per i connazionali di ogni tempo.

Nelle immagini qui sotto, proponiamo prima una riproduzione del frontespizio del libro che nel 1865 Francesco Selmi dedicò al Convivio (nell’Ottocento, tale opera dantesca era denominata solitamente Convito), e poi l’incipit di uno degli articoli da lui riservati al grande Fiorentino allorché di quest’ultimo era ormai imminente il sesto centenario della nascita: Del concetto dantesco libero papa in libero impero; del Desiderato e del trionfo di Beatrice, «Rivista Contemporanea Nazionale Italiana», N.S., a. XII (1864), vol. XXXIX, fasc. di novembre, pp. 260-283, e fasc. di dicembre, pp. 407-424. Fonte: google.com











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30 marzo 1824: nacque a Modena ALESSANDRO PLESSI, amministratore locale e studioso.

Alessandro Plessi trascorse buona parte dell’esistenza a Vignola e di quel Comune fu sindaco a più riprese (1860-1865, 1868-1891, 1902-1905). Di frequente in collaborazione con alcuni benemeriti concittadini, tra i quali Giovanni Rodolfi (1828-1896), Francesco Selmi (1817-1881) e Luca Antonio Tosi (1811-1876), egli promosse la nascita di enti, associazioni, spazi e infrastrutture a vantaggio dei concittadini del presente e del futuro, e si distinse come uno dei principali organizzatori delle celebrazioni per il secondo centenario della nascita di Lodovico Antonio Muratori (1672-1750).
Il personaggio di cui stiamo parlando fece uscire dai torchi – fra l’altro – il libro Istorie vignolesi narrate a’ suoi figli da Alessandro Plessi (Vignola, Tipografia di Antonio Monti, s.d. [ma: 1885]) e curò la prima edizione di De Vineolae moderniori statu chronica enarratio (Bononiae, Apud Nicolaum Zanichelli […], 1872), opera lasciata manoscritta da Domenico Belloi (1660-1712).
Il Nostro morì il 6 ottobre 1907 a Zenzano – territorio che comprendeva le odierne Frazioni di Formica e, in buona parte, di Garofano – di Savignano sul Panaro (MO). La sua tomba si trova nel cimitero di Vignola.

Nell’immagine sottostante, Plessi nel 1864. Fonte: Raccolta famiglia Plessi.






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